Intervista a Paolo Durando Intervista a Paolo Durando

Intervista a Paolo Durando

La cover di Al Confine - Paolo Durando

La cover di Al Confine – Paolo Durando

Paolo Durando si racconta ai lettori di RecensioniLibri.org: abbiamo già letto i suoi libri  – Le storie della salamandra (qui recensito) e Al Confine (qui l’articolo) – e ad essi senz’altro vi rinviamo, non prima però di aver scoperto qualcosa di più sul loro autore!  😉

Nei tuoi libri è spesso presente una ricerca del proprio io, una sorta di analisi della propria identità da parte dei protagonisti che spesso fuggono da sé stessi; c’è un motivo preciso nel fatto che come autore ami soffermarti su questi particolari aspetti  anche psicologici?

Tradizionalmente la fantascienza, genere “maschile”, privilegia l’azione, il plot, seppur conditi di sense of wonder. Ammetto che non mi interessano molto, ad esempio,  gli imperi galattici e le guerre stellari. Mi sono orientato ad altri aspetti di questo genere-non genere (perchè, in fondo, li ingloba tutti!), tra cui quelli legati all’autocoscienza individuale e di specie, che implicano anche, ovviamente, questioni psicologiche. Sono l’antico “conosci te stesso” e il più recente “essere gettati” nel mondo che, attraverso alcuni  temi tipici della fantascienza, possono declinarsi in modi alternativi e fecondi. Per questo ho guardato spesso al cosiddetto “pensiero della differenza sessuale”, da Carla Lonzi in avanti, dal momento che le donne, per necessità, hanno dovuto guardare più a fondo in se stesse.

Nei tuoi  racconti di fantascienza c’è sempre un senso di solitudine e abbandono, come lo spieghi?

Io parto dal presupposto che la solitudine, anche nell’accezione dell’abbandono, sia un necessario punto di partenza per chiunque abbia degli obiettivi da raggiungere. Le figure solitarie e marginali non mi hanno mai trasmesso una vera tristezza; a volte mi danno un senso di libertà.   Crediamo di vivere in una società individualistica, in realtà si dovrebbe dire narcisistica. E il narcisismo non ha a che fare con la forza, la libertà e l’avventura dell’individuo, ma con la sua debolezza. Credo che, con l’aiuto della tecnologia, tra sms e social network, stiamo approdando ad un mondo post-individualista, dove contano molto l’integrazione, la fusionalità nel “gruppo”. Presso gli adolescenti questo è particolarmente evidente. I confini tra le persone si fanno più labili, tutti fanno parte di un unico flusso di informazioni, emozioni, azioni e reazioni. Di qui un certo depotenziamento della parola, soprattutto letteraria, che richiede, appunto, solitudine, nonché lentezza, durata. Un tempo l’identità si nutriva anche di parole, di concetti. Oggi sono le tecniche a costituirla. Nella scuola stessa, del resto, si parla sempre più di “competenze”. Le epoche umanistiche sono alle nostre spalle.

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 Il tuo lavoro è ispirato da qualche particolare scrittore di fantascienza o da qualche filone di questo genere letterario?

Certamente c’è qualche autore di fantascienza che ho amato, come Philip Dick, soprattutto quello di “Ubik”. Potrei citare anche Rudy Rucker di “Luce Bianca”. E’ indubbio, però, che un ruolo rilevante lo ha avuto la letteratura non fantascientifica, da Kafka a Bulgakov e quel filone “praghese” che dal Golem approda a Meyrink o Kubin. Mi hanno segnato, inoltre,  Giorgio Scerbanenco, per la felicità narrativa, e Clarice Lispector, per i movimenti dell’interiorità. Ho cercato poi, a più riprese, di trarre linfa per la scrittura da altre forme espressive, come il teatro di ricerca e le arti visive. In questa ottica multidisciplinare ho collaborato con altri artisti, ad esempio nel maggio 2012, nella mostra “Donna con frittata”, allo Spaziobianco di Silvano Costanzo a Torino. Mi interessa infine, per l’ampiezza della visione,  il percorso dei connettivisti.

Prossimo lavoro?

Sto tentando la strada del romanzo. Finora non sono andato oltre al racconto lungo o romanzo breve. Devo verificare se davvero mi manca il fiato per questa impresa. Posso solo dire che il filo conduttore sarà, una volta di più,  il mio principale mito di riferimento, ossia il tempo, la sua natura e la sua azione sulle cose e le persone.

Giannandrea Mencini

 

Autore: Giannandrea Mencini

Laureato in Storia, mi occupo di storia dell’ambiente e del territorio. Collaboro con alcune testate giornalistiche. Lavoro a Venezia come responsabile della comunicazione e ufficio stampa e ho scritto numerosi libri ed interventi specialistici.

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