Il baule nella prateria | Intervista a Stefano Jacurti
Questo pomeriggio facciamo quattro chiacchiere con Stefano Jacurti, attore e regista teatrale appassionato del vecchio west a stelle e strisce. Parliamo de ll baule nella prateria (qui trovate la recensione del libro), la sua prima di raccolta di racconti western pubblicata nel 1998 e ristampata in edizione aggiornata da Serel International nel 2012 con due nuove storie.
Il baule nella prateria è la sua prima raccolta di racconti western. A seguire, Avrei voluto essere ucciso da Clint Eastwood e il romanzo Bastardi per stirpe. Continuerà a seguire la scia del west oppure presterà la sua penna ad incursioni in altri generi letterari?
Fino a che vedrò che il western nei libri sarà poco narrato, un fremito rabbioso, un ringhio deciso dell’anima mi spingerà a mettermi in gioco, sempre. Ma le cose stanno cambiando, sono arrivati diversi autori negli ultimi tempi.
Nel racconto Indian Marshal si parla di diversità, di un uomo “mezzosangue” (metà bianco e metà indiano ndr) e di una prostituta che compiono assieme un’azione impensabile ai più, una sorta di riscatto societario, mostrando di avere fegato ben più di altri. Quanto conflitto etnico e societario vi era nel vecchio west?
Come scontro etnico nel west c’è stato il massacro degli Indiani d’America, che è sotto gli occhi di tutti a livello storico, anche se nel west lo scontro etnico non è stata l’unica motivazione, basti pensare ai conflitti tra bianchi. I mezzosangue hanno avuto un percorso difficile nel west, perché non erano amati da nessuno, e mi interessava il percorso di un uomo diviso a metà come ceppo etnico ma con la dignità che non conosce colore di pelle. È quell’atmosfera partita da “Mezzogiorno di fuoco”, passata per una città che diventa rosso sangue come nello “Straniero senza nome” e arrivata al sottoscritto che però racconterà “la sua storia”, piombo compreso. A Indian Marshal sono molto legato, è stato uno dei primi scritti western che ha avuto un riconoscimento ai concorsi. C’è chi è abituato a queste cose, ma io, quando l’ho saputo, non ho dormito la notte. È stata una grande gioia ma poi ne sono arrivate altre, una dopo l’altra. Le prostitute nel west sono nella scrittura e nel cinema da me molto amate, me lo ha insegnato Sam Peckinpah, mi piace raccontarle nei libri e film e sempre con caratteristiche diverse.
Quando si scrive un libro di racconti è facile pensare che uno di questi possa poi essere sviluppato in maniera più ampia per un nuovo soggetto. Esiste questa possibilità anche per uno o più dei racconti contenuti ne Il baule nella prateria?
Per ora è andata sempre così: la stesura di un romanzo o di un racconto è stata indirizzata ai libri e non a un film, il soggetto e la sceneggiatura di un film come Inferno bianco, non sono stati trasformati in un libro. Mi sono permesso solo qualche giochino, tipo il Padre Felipe di Bastardi per stirpe (qui trovate la recensione del romanzo) che si materializza in un’altra vicenda come il western Mesa Verde di Emiliano Ferrera. Però sviluppare un racconto per un nuovo soggetto è altro, ancora non è accaduto nè per Il baule nella prateria e nemmeno per altri libri, ma mai dire mai.
In quale racconto la presenza di Stefano è più tangibile?
Se fosse vero quello che scrivo mi avrebbero già dato il carcere a vita per tutti i morti ammazzati che ci sono nei miei racconti, ma non esiste un racconto del libro dove il sottoscritto, seppur in metafora, anche al solo un per cento, non vi sia. Io ci sono sempre, penso sia normale, ci sono come western crepuscolare di chi non ha più vent’anni, c’è il mio carattere malinconico e casinista, un po’ monello quando voglio. C’è spesso il personaggio western da cane sciolto che necessita di spazio vitale, ma c’è anche la forza dell’indipendenza accompagnata dalla malinconia, perché la libertà ha prezzo: la solitudine. Nei miei personaggi queste atmosfere spesso si sentono, come penso si avverta il valore dell’amicizia, perché gli amici veri nella vita sono pochi, non arrivano a riempire il tamburo di una colt.
Progetti per il futuro?
Una nuova avventura da vivere con un caro amico da dedicare a mio padre che non c’è più. Successivamente ho un altro progetto nel cassetto, un’altra zampata decisa, perché siccome sono stanco di dire «Spero di tornare a teatro» che si mettano l’anima in pace: perché a teatro ci torno per forza, parola di Stefano Jacurti. E ne riparleremo quando ricondividerò in rete questa intervista per la quale la ringrazio sentitamente.