L’eleganza del riccio. Recensione di un romanzo che racconta la bellezza dell’interiorità di una portinaia
L’eleganza del riccio (ed. E/O, 15.30 € su Feltrinelli.it), di Muriel Barbery, autrice francese e docente di filosofia che ora vive in Giappone – leggendo il romanzo si intende il perché – ha raggiunto un grandissimo successo con questo libro.
Non si tratta di una novità editoriale. E’ stato pubblicato per la prima volta in Francia nel 2006, e già nel 2008 la sua versione italiana era entrata al vertice di ogni classifica di vendita.
E’ possibile tuttavia che sia sfuggito a molti lettori, ed è un romanzo che val la pena leggere per diversi motivi.
Il tema affrontato non è nuovo, parlando di due personaggi che all’apparenza sono sottomessi e poco capaci, ma che in realtà sono proprio l’opposto. E questo opposto, alla fine, come Cenerentola diventa una principessa, viene messo alla luce.
La protagonista principale è Renée, una signora che si presenta come “vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l’alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante”.
Renée ha 54 anni e da 27 lavora come portinaia in un palazzo “al numero 7 di rue de Grenelle, un bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di gran lusso, tutti abitati, tutti enormi”. Un palazzo elegante, abitato da famiglie dell’alta borghesia. Ci vivono ministri, burocrati, maîtres à penser della cultura culinaria.
Tuttavia, almeno al lettore, questa rozza portinaia si presenta ben prima della sua descrizione con una colta conversazione su Marx e la sua “Ideologia tedesca”. Qual è dunque la verità?
Renée ama coltivare la sua immagine esteriore con tutti gli stereotipi dei portinai: tiene accesa la tv tutto il giorno, anche se nel retro magari ascolta musica classica; oppure parlando con gli inquilini, pur accennando a cose estremamente colte, cerca di rendere più volgare, volutamente, il suo linguaggio. Anche se poi si sente male quando sente questa gente altolocata fare strafalcioni con la lingua. O anche acquista cibi e prodotti della mediocrità consumista che ci si aspetterebbe da lei. Intanto però non risparmia citazioni di Kant o Proust.
Questo trucco per lei è una difesa. Non ama mettersi in mostra, e in questo modo può continuare a coltivare il suo hobby autodidatta – che non si ferma alla musica, ma spazia in moltissimi campi e in modo approfondito, adora l’arte, la filosofia e soprattutto la cultura giapponese – privatamente.
Nello stesso palazzo abita Paloma Josse, figlia di un deputato, ex ministro, che abita uno dei lussuosi appartamenti. E’ una ragazza dodicenne, fin troppo intelligente. Allo stesso modo di Renée, ma per motivi diversi, Paloma cerca di nascondere questa sua qualità facendo finta di essere una ragazzina discreta, imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre.
In realtà, segretamente, osserva con sguardo critico e severo l’ambiente che la circonda. Prova pure ad abbassare le prestazioni a scuola ma è lo stesso difficile, e non può fare a meno di essere la prima della classe. Tuttavia questo la disturba, “siccome nelle famiglie dove l’intelligenza è un valore supremo una bambina superdotata non avrebbe mai pace”.
Paloma ci viene presentata attraverso un diario, pagine e pagine in cui si racconta e narra l’ambiente in cui vive, la sua ipocrisia. Finché stanca della vita, decide di togliersi la vita il giorno del suo tredicesimo compleanno. Anche se forse è la figura più debole e meno costruita del romanzo, nell’intreccio è interessante per il punto di vista.
Renée e Paloma vivono due vite distinte, nessuna delle due sa dell’altra, e si continuerebbe così – a metà del libro infatti il ritmo praticamente cessa – se non entrasse Monsieur Kakuro Ozu, un non più giovane signore giapponese, la cui raffinata natura, che porta in sé il meglio del mondo orientale, ha il dono di guardare lontano e smascherare le due figure.
Egli riesce infatti a vedere le qualità nascoste di Renée che, sorpresa, si domanda come abbia fatto. E una volta che fa lo stesso con Paloma, avvicina la ragazzina e la signora, le fa incontrare facendo così nascere un nuovo scambio. Da questo momento il romanzo riprende ritmo in maniera vorticosa, fino alla fine dove avverrà una catastrofe.
D’altronde l’identità nascosta di Renée non dovrebbe essere così celata. Per esempio ha chiamato il suo gatto Lev, in omaggio a Tolstoj – di cui il libro ha parecchi riferimenti, specialmente riguardo “Anna Karenina”. Però troviamo che in quel palazzo le persone hanno troppa puzza sotto il naso per accorgersi di qualcosa, e tra la loro eleganza e la rozzezza di Renée, alla fine è la raffinatezza di quest’ultima a trasparire – elegante come un riccio, secondo Paloma: “Fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.”
Questo libro racconta l’ipocrisia dominante in questi ambienti ma anche, sottilmente, una lotta di classe non comune, che appartiene sia alla portinaia che alla figlia di una famiglia ricca, nauseata dagli stessi stereotipi che sono creati per mantenere l’apparenza. Lo scontro tra interiorità ed esteriorità è creato in maniera originale.
Il tutto è condito da un’ironia molto garbata che, utilizzando una cultura profonda – grazie alle conoscenze dell’autrice – dà un risvolto umoristico e leggero a tutta la storia.
Consigliato, anche se a volte, specialmente nei primi capitoli, bisogna sopportare un po’ di autoreferenzialità filosofica da parte dell’autrice.
Agosto 19, 2016
Grazie