La poesia di Bassano nel libro “L’imperfezione dei cardini”
La poesia di Bassano sembra un paradossale ossimoro. Linfa che nutre e produce, mentre è ancora vita, si veste di malinconia che copre lo sguardo e lo rende falso e ingannevole. È una poesia che cerca la fine, vuole trovare lo sguardo da cui quel vicino, il suo vissuto-presente, sia sbattuto nel punto più lontano possibile: luogo necessario alla poesia, luogo lontano dalla vita.
La cifra stilistica di Antonio Bassano si concepisce in un’ imperfezione in dissolvenza, in perfetta dissolvenza, dove luoghi e persone trascolorano attraverso le parole del poeta. L’Adriatico appare e scompare insieme, gigantesco luogo immerso in una luce che è troppa da sostenere. I versi si s-compongono lenti ma corrono “rapidi nello schianto” dove persino il respiro, affoga sott’acqua. In queste poesie-geografie violente che tagliano via le vele non si trova redenzione.
Non c’è una luce che redime, che lascia intravedere un faro neppure lontano ma distrugge. Rompe. Frantuma. Non c’è possibilità di riscatto, come in una cupa tela caravaggesca. Mentre il Merisi scava le figure dall’ombra, in un ipotetico confronto, Bassano le staglia lì, nell’ombra più nera.
Si direbbe dunque una poesia di rottura? No, non lo è. Poesia di distruzione piuttosto, che vede compiersi sotto i propri occhi che però non sa o non può o non vuole fermare?
Improvvisi arrivano luoghi fuori dalle rotte, come un’incursione non voluta. E si cambia luogo e “traccia” e la traccia che resta è quella di un vago ricordo, di gioia e disperazione assieme dove chi appare sulla scena sembra solo un finto testimone di un viaggio, che sia in aereo, bus o metrò. I centimetri di spazio non più riconosciuti sono la casa dove si inciampa sbattendo contro uno specchio rotto che non può più rappresentare la propria immagine.
Allora il chiodo non sta più in piedi, il quadro cade, i cardini non coincidono con la struttura dell’ingresso. È questo il passo in cui Bassano inizia a barare, a “cadere in basso”. Alla finestra si vedono solo improbabili paesaggi; allora gli oggetti iniziano a urlare e il tubo scoppia. I giochi di carte sono un bluff bello e buono e le cose non tornano al loro posto. Ma questo trucco da cui non si può tornare indietro è il viaggio necessario e vitale che richiama l’eroe lontano dal conosciuto.
Non è un Ulisse del nostos, Bassano non deve rientrare. Ulisse deve ancora partire e questi mari infiniti sono la sua terra interiore. Dove approderà quindi il nostro poeta? Ci auguriamo in territori le cui geografie sono la vita e la poesia insieme senza scarto né scissione. È qui che lo vorremmo ritrovare, perché forse “non è stato il temporale”, o l’incuria o la pioggia né “la cattiveria del mondo”.
Non erano i suoi luoghi quelli? Non la sua casa, dove scrittura e vita hanno inciso una mappa, una “geografia falsa” di una poesia “imperfetta”. È l’esistenza che è imperfetta qui sta la sua bellezza, caro Bassano. La sfida è lanciata, cosa racconteranno i suoi versi nella scoperta della vita e della poesia nell’incanto della bellezza?
La sua “poesia della distruzione” si era costruita in un luogo magico e poetico dove Antonio Bassano è riuscito con pazienza e acribia ad accumularne i frammenti componendo quasi un disegno di puntinismo.
Ha unito tutti i punti, dal primo all’ultimo, senza errori come dentro una pista cifrata. La traccia che ci rimane però è un’opera appena sbozzata, una pipa appena smozzicata…ciò che manca è la fumata regale!