Una giornata a Samarcanda
Autore: Alessandro Ettore Cimò
Editore: Cicorivolta Edizioni
«Quella di Cimò è poesia di protesta; non è neppure insofferenza o semplice reazione. Per nulla scevra alla filosofia, spinta e alimentata dalla necessità di comunicazione, si ispira a una concreta e stimolante volontà – e dunque voglia – di adeguamento tra arte, pensiero e società moderna. Le parole di Cimò seguono linee gestuali dall’andamento costruttivo e preciso. Parlano il linguaggio delle arti classiche e di quelle recenti, conferendo al segno tutta l’efficacia trainante del monito che in lungo e in largo percorre la Ricerca». (Paolo West)
“Una giornata a Samarcanda” non è una raccolta di poesie: è una breve e ciclica deriva di un possibile poeta d’oggi immerso nel suo tempo, le sue maschere, i suoi dei e le sue strade impossibili.
In un mondo dove tutto è mercificato quest’opera vive della forza del gesto della scrittura:«allora che sia anti-poesia ogni nostro oltraggioso verso, ogni nostra parola sperperata in questa insensibile Samarcanda,perennemente smarrita nella contemplazione della propria immagine».
L’idea che sorregge tutto lo scritto è semplice: il gesto più sovversivo e significante che si possa oggi compiere è quello di fermarsi e osservare silenziosamente il mondo che frenetico ci circonda. Solo entrando nel vortice del caos si può estrarre una possibile poesia del presente. Ciò non è un mero sfizio estetico, ma consiste nel prendere una differente posizione rispetto all’inesistenza quotidiana e al vuoto che ci assedia. Quanto è in conflitto con i modelli diffusi risulta difficile a dirsi e in tale contesto la poesia rappresenta uno sforzo continuo di riconquista, una lotta senza quartiere per farci comprendere e per comprenderci. Dunque, un primo passo verso il nostro divenire.
Bisogna profondamente cogliere che la poesia non può fornire risposta alcuna poiché essa non è né parola sacra né mito. La sua sfera d’azione è quella della problematicità. Destabilizzati da un verso la prospettiva su un angolo di mondo muta. È proprio per questa sua natura oppositiva che la poesia deve avere tuttora, perché può averla, una sua prerogativa rivoluzionaria, mistificatrice e disvelante. È solo un momento, ma un momento necessario.
Ecco dunque giungere l’ora di riproporsi l’aberrante e perversa domanda di J.-P. Sartre: «può darsi che un uomo solo abbia ragione e l’intera città abbia torto?».