Tengo tutto, un saggio di Randy O.Frost e Gail Steketee
“Je so’ pazzo, je so’ pazzoe vogli’essere chi vogli’io
ascite fora d’a casa mia”
Pino Daniele, Je so’ pazz’
Il PIL sale, l’inflazione aumenta, lo spread raggiunge livelli record, se qualcuno non se ne fosse ancora reso conto: siamo in crisi, fanciulli! O almeno così dicono, e in tempi di crisi, si sa, non si butta via niente. Lo sa bene chi soffre di disposofobia, un accumulo patologico di beni e la relativa incapacità di liberarsene. A informarci sulla patologia, colorendo il tutto con simpatici esempi, bizzarri casi studio e irriverenti storie di vita, ci pensano Randy O.Frost e Gail Steketee, due studiosi e clinici americani che, per raccogliere le analisi condotte nell’arco di vent’anni in un volume, hanno deciso di pubblicare il saggio dal titolo Tengo tutto. Perché non si riesce a buttare via niente. Il libro, edizioni Erickson, è acquistabile anche sul sito laFeltrinelli.it al prezzo di € 13,95.
E così, ai soggetti che soffrono di disposofobia può capitare di ritrovare, tra l’inserto del Cioè targato 1995 e il vinile dei Ricchi e Poveri, una simpatica bambola formato Jem e le Holograms.
E a tutto questo prova a rispondere il saggio. Cosa spinge un uomo a conservare ogni singolo oggetto inanimato e superfluo: un biglietto del treno, le ricevute dei ristoranti, gli scontrini dei negozi e i biglietti di auguri di una vita? Cosa porta Ralph, ad esempio, ad accumulare una montagna di oggetti recuperati dalle discariche («possono sempre servire!») e a rischiare, per questo, di perdere la casa?
Nell’epoca del consumismo, i due clinici provano a rispondere a una domanda: quando smettiamo di possedere gli oggetti e iniziamo ad esserne posseduti? Quando un’originale abitudine si trasforma in un’ossessione e diventa una vera e propria patologia in grado di compromettere seriamente la qualità di vita propria e di chi ci circonda?
E così, le case stracolme di “roba” creano quelli che in gergo semi-tecnico si potrebbero chiamare “sentieri di capra”, ovvero corridoi non più larghi di trenta centimetri tra un accumulo di oggetti e l’altro. Ma il saggio, come il più classico dei romanzi, regala al lettore il classico lieto fine con cure e terapie dedicate al paziente, anche quello più difficile.