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L’illusione del melograno | Marcostefano Gallo

Tancredi è un uomo in balia della vita. Un uomo che attende, che subisce le decisioni degli altri e che corre il rischio di arrivare in ritardo, come il melograno che esplode di colori quando tutto intorno ci sono soltanto morte e depressione. È lui il protagonista de L’illusione del melograno, l’ultimo romanzo di Marcostefano Gallo appena uscito in libreria per Pellegrini Editore.

Melograno Marcostefano GalloIl mare d’inverno, uno scenario caro a molti meridionali malinconici che hanno la fortuna di vivere di fronte a quel mondo in cui è più facile essere felici, per dirla con Jean-Claude Izzo.

Una sensazione profonda, non facile da descrivere e da comprendere per chi non si è mai sentito fuori posto, straniero, che si potrebbe provare anche per la montagna d’estate: nei confronti delle stazioni sciistiche, dei monti, dei parchi, di quei luoghi destinati alla “settimana bianca”, come si diceva nel secolo scorso, che, seppur meno reclamizzate, costituiscono una risorsa importante per quelle regioni, come la Calabria, che oltre a essere lambite dal mare sono dotate di un corpo, florido e ostile, macchiato da boschi e picchiettato da cime.

Montagne, neve e piste da sci, cui spesso sono collegate baite e rifugi, ma anche grandi alberghi; strutture ricettive stellate, destinate a una clientela elitaria, tanto che da un istante all’altro ci si aspetterebbe l’intervento di Guido Nicheli, il cumenda della commedia italiana, che, in dolcevita color camoscio e pellicciotto beige, annuncia tronfio il suo arrivo a destinazione nel tempo record di “due ore, cinquantaquattro minuti e ventisette secondi”.

E invece no, perché il protagonista de L’illusione del melograno, l’ultimo romanzo di Marcostefano Gallo da poco pubblicato da Pellegrini, è un uomo assai meno espansivo e borioso.

Si chiama Tancredi, è il rampollo di una delle famiglie in cima alla scala sociale di Lirola, l’immaginario paese calabrese in cui si svolge la storia, ed è prossimo al matrimonio con Caterina, giovane femmina di pari rango. Bella, intrigante, ma superficiale e dipendente dalle reti sociali in cui mostrare a una galassia di sconosciuti la sua felicità e il suo “fare”; una donna, così intraprendente e popolare, che Tancredi, una persona di quelle che nella vita vogliono nascondersi e fare pochissimo, in fondo, vede come una estranea.

L’uomo, infatti, è oltremodo algido nei rapporti, gelido come la neve che d’inverno ricopre Lirola; immaturo per giunta, non è pronto a tuffarsi nella “vita bugiarda degli adulti”. Il personaggio dipinto da Marcostefano Gallo è così destinato a subire le decisioni degli altri, si trova spesso in balia della vita che gli ruota attorno e non riesce a prendere posizione. Il suo unico piacere deriva dalla creazione di nuovi farmaci naturali nel retrobottega della farmacia di famiglia.

Tancredi è un personaggio che vive la sua vita in maniera passiva, guardando soltanto la copertina, come ha affermato l’autore in una intervista rilasciata a «Glicine»; un uomo che attende, tentenna, ma che rischia di arrivare in ritardo al ballo della vita, come il melograno, la pianta che staziona nel giardino di una vecchia casa di famiglia.

“Confuso, spaesato, si sentiva come un tronco d’albero trasportato dalla corrente di un fiume, inerme e destinato a non scegliere mai. […] Tancredi era simile a chi arriva a festa finita, un po’ come il melograno, che esplode di gioia carico di frutti in autunno, quando al rigoglio dell’estate sono ormai subentrati tutto intorno morte e depressione.”

Tancredi, aspetto fondamentale del romanzo, è sordo a causa di una infezione patita da bambino; una condizione che però né lo limita, né lo rattrista, anzi, si sente un privilegiato, lui che levando gli auricolari dalle orecchie ha il potere di staccare i contatti col rumoroso mondo tutt’attorno.

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Frattanto che il giorno delle sue nozze si approssima, il protagonista, per quanto desideri stare nel suo cantuccio, inizia a percepire qualcosa che non va nella sua esistenza comunque serena – quasi invidiabile – , qualcosa che lo inquieta. Si rende conto di non potere compiere quel passo – nel vuoto? –, almeno fin quando non risolverà dei punti sospesi della sua vita. Punti irrisolti che agitano le sue notti, attraverso degli incubi che assumono la forma tondeggiante del Lago Bianco, il piccolo laghetto del paesino montano, e che si appalesano anche nelle ore di veglia con l’arrivo in paese di una bella e triste dottoressa e la scoperta di una storia – vergata su una parete protetta da una carta da parati – che racconta un passato che a Lirola nessuno conosce. Perlomeno questo è quel che crede Tancredi.

Da qui il romanzo inizia a tingersi di giallo, percorrendo i binari di una lenta indagine, condotta con sarcasmo e attenzione da Marcostefano Gallo, che ci porterà a una verità – o, forse, una parte di verità – del tutto inaspettata.

L’illusione del melograno, però, non è un romanzo riconducibile – o confinabile – a un “genere” noir (virgolette doverose dato che è scorretto parlare di generi nella narrativa, come se un giallo, un noir, un thriller appartenessero a letterature di seconda serie); il libro, immerso nel nostro tempo, evidenzia taluni difetti cronici della nostra società e, attraverso la partitura del testo in potatura, fioritura e raccolta, riflette il ciclo della vita, le attese, talvolta lunghissime, che si trasformano in manovre improvvise o già compiute senza che ce ne fossimo accorti. Oppure in azioni giunte fuori tempo massimo e buone soltanto a svuotare la nostra coscienza o a riempirla di rammarico e rimpianti. Per l’eternità.

 

Autore: Redazione Leggere Libri

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