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Nel nome del figlio | Björn Larsson

Nel nome del figlio – l’ultimo libro di Björn Larsson tradotto per Iperborea da Alessandra Scali – è un lavoro di introspezione volto a trovare risposte a un passato scomodo e troppo a lungo nascosto.

Nel nome del figlio | Björn LarssonIn una notte d’agosto del 1961 la piccola comunità di Skinnskatteberg, Svezia centrale, viene sconvolta da un disastro: nel Nedre Vätter, uno dei tanti bacini d’acqua attorno alla cittadina, è affondata una barca con a bordo sei uomini e due bambini. La dinamica non è affatto chiara, né perché sei adulti, esperti nuotatori e pescatori, abbiano deciso di allontanarsi su una barca che non poteva ospitare più di tre o quattro persone.

Un bambino, figlio di una delle vittime, l’elettricista Bernt Larsson, morto probabilmente nel tentativo estremo di salvare la vita ai due ragazzini coinvolti nel naufragio, si è salvato perché ha cambiato idea all’ultimo minuto e ha deciso di non salire a bordo del barchino e restare a casa. Un destino amaro, uno di quei momenti che turbano per sempre la vita di una persona, di chi si ritrova vivo soltanto per caso, superstite di una sanguinosa tragedia.

E invece no, perché il figlio di Bernt non prova dolore per l’improvvisa scomparsa del padre, ma soltanto un grande sollievo.

“Pensa che dovrebbe piangere. Sa che dovrebbe piangere. È quello che fa quando ti muore il padre. Ma le lacrime non arrivano.”

Gli occhi sono vuoti, come la memoria, destinata a ritornare molto tempo dopo. Perché il bambino non esprime emozioni? Vigliaccheria emotiva? L’attuazione di un processo di rimozione e autodifesa? Oppure si tratta di qualcosa che ha a che fare con il suo mestiere di scrittore?

Sì, perché il bambino è diventato un uomo, un romanziere di successo, tra i maggiori del suo Paese, per il quale però parlare di quella vicenda rimane difficile; nelle sue storie, infatti, non compaiono mai famiglie ben definite, anzi, spesso i protagonisti dei suoi romanzi non hanno proprio un passato e delle radici. Finché l’uomo non decide di fare i conti col suo passato, muovendosi nei margini lasciati dai ricordi e dall’incertezza dei fatti. Non basta più pensare che il padre ci sia per sentirlo accanto, bisogna che lo si reinventi, facendolo diventare il protagonista di un romanzo.

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Björn Larsson si racconta in terza persona, non soltanto un sempre utile mezzo narrativo, ma anche uno strumento per ricordare e proteggersi dalle angosce che i ricordi procurano: “chiudersi in se stesso per proteggersi”, inventando se occorre, cercando di fantasticare sulle falle lasciate da una memoria lasciata a lungo sopita, senza allenamento, che ha remato in favore di quella rimozione che avrebbe fatto esultare tutti i sostenitori delle teorie freudiane. Inventando anche un passato più prossimo, mai realizzato, e abbandonandosi alla ucronia, il termine col quale si indicano i ragionamenti basati sulla costante domanda: come sarebbe andata se questo o quell’altro evento non fosse accaduto? Per il protagonista/autore del romanzo: cosa sarebbe successo se Bernt, il padre, si fosse salvato dal naufragio in quella notte d’estate del ‘61?

“Ci sono sempre storie e aneddoti che si raccontano su chi non c’è più. E non è forse giusto continuare a farlo per tenere ancora un po’ in vita, per una o due generazioni, chi è scomparso?”

In un libro molto autobiografico, una autofiction – nuovo sottoinsieme di grande successo nella narrativa del nostro tempo –, Björn Larsson dimostra di non avere paura del passato; il premiato scrittore svedese svolge un lavoro di introspezione, cerca di dare dignità a un evento luttuoso, di trovarvi delle risposte e intraprende un’indagine su un dolore troppo a lungo nascosto, sulle orme di un padre, in fondo, mai dimenticato.

Autore: Redazione Leggere Libri

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