Ritratto di famiglia con errore | Paolo Valentino
Paolo Valentino, stimato ghost writer, dopo Il metodo Catfulness. La felicità insegnata da un gatto (edito da Mondadori), fa il salto di qualità e si misura riuscendoci con il suo primo romanzo edito da SEM dal titolo Ritratto di famiglia con errore.
La storia è di quelle semplici, fatta di persone semplici e quotidiane, ed è proprio per questi tratti che riesce a celare con abilità ed immediatezza l’mprevisto e l’inatteso che diventano “voglia di scoprire”, pagina dopo pagina, la storia personale e collettiva di ogni personaggio in quella che è la comunità più globale di tutti, la famiglia.
Una lunga scia di chiaro scuri, di non detti, di verità nascoste, che insieme costituiscono gli ingredienti che danno spessore a questo microcosmo, visti dagli occhi di un ragazzo che è davvero prossimo a diventare adulto.
Il tempo e il luogo sono vicini all’autore, che ambienta l’azione in uno dei molti sobborghi cresciuti, con più o meno controllo urbanistico, poco fuori Milano agli inizi degli anni ‘ 90, che chiama PozzoChiaro.
Milo Poletti (il protagonista) vive proprio qui. I Poletti sono una famiglia come tante: una mamma, un papà e un po’ di figli, come se ne facevano un tempo, quattro per la precisione, ossia tre maschi – Filippo Milo e Nicholas – e una femmina – Livia.
Filippo è nella fase ribelle di piena adolescenza che lo porta spesso ai limiti della legalità, Livia ha la favola negli occhi e attende con trepidazione la festa che proprio a breve si farà per il suo compleanno, con torta, piatti preferiti e tanti regali. Nicholas ha poco più di otto anni, vive con convinzione le sue emozioni e i suoi sogni, schermo efficace per quella balbuzie che spesso lo isola dagli altri e che solo la venerazione verso il fratello Milo riesce a tenere aggrappato al mondo reale.
Milo è tra Filippo e Nicholas non solo per età anagrafica, ma anche per emozioni: in bilico tra il non essere più un bambino ed essere sulla soglia titubante di quella porta appena aperta che lo porterà, attraverso l’adolescenza, alla vita adulta.
A lui viene affidato, proprio quella sera d’autunno, il ritiro della torta per Livia: ospite centrale per la festa a sorpresa per cui tutti si stanno adoperando in quella giornata. Sta per uscire per svolgere il compito assegnatogli, quando Nicholas gli si avvicina: deve assolutamente parlare con lui. Ma Milo non può aspettare, un ritardo nel ritiro della torta corrisponderebbe a un ritardo per l’inizio della festa ed allora sarebbe lui a sentire i rimproveri.
Spiccia il fratello in fretta: discuteranno di tutto dopo, al suo ritorno a commissione compiuta. Sarà l’ultima volta che Milo e la famiglia vedranno Nicholas . Il bambino sparisce, letteralmente, inghiottito da qualcosa o forse da qualcuno che nessuna sa identificare.
La scomparsa del piccolo Poletti innescherà in ogni componente della famiglia un momento di smarrimento al limite del crollo emotivo e fisico (il padre vittima di un attacco cardiaco, mentre Filippo sarà per essere arrestato per aver attaccato briga con un gruppo di nomadi che crede abbiano nascosto il fratello) oppure a fare i conti con il proprio vivere e con segreti non sempre limpidi e piacevoli da raccontare.
Milo, tra tutti, si sentirà talmente in “colpa”, da avviare una sua indagine personale per ritrovare il fratello (o comunque per capire cosa gli sia successo).
Un atto questo che lo porterà ad aprire cassetti nascosti e scoprire impensate relazioni tra gli adulti che lo circondano, familiari e non, tanto da pensarli anche come potenziali rapitori. I molti veli del “non detto” così sollevati, lasceranno Milo scosso, incerto, perplesso: l’età adulta in cui dovrà necessariamente entrare ha limiti invalicabili e non sempre condivisibili. Imperfeazioni tali da mettere in dubbio l’avventura per nulla facile della vita.
Milo e ogni componente della famiglia riuscirà, con più o meno fatica, a trovare dentro di sé il calore rassicurante proveniente dal loro essere “comunque” UNO e molti assieme, e sarà questa forza, forse, a riportare ognuno di loro a farne nuovamente parte.
La scrittura lineare, veloce ,“pratica”, è la chiave di volta dell’intera impalcatura compositiva. Un’agilità ginnica che richiama lo stile anglosassone. La lettura ne viene favorita: fluidità di passaggio da azione ad azione, senza intoppi o lungaggini che non trascurano descrizione di luoghi, sensazioni e situazioni.
Tutto si equilibra non annoiando, invogliando a scoprire il passaggio successivo dell’indagine e le conseguenze di quel colpo di scena con cui si è chiuso il capitolo precedente. Fare ipotesi più o meno veritiere, attraverso i segnali e gli indizi sparsi qua e là, nei dialoghi, nelle situazioni e nelle scoperte che il protagonista fa, è inevitabile.
L’ infinito gioco di scatole cinesi, dove ogni certezza acquisita, viene sistematicamente “modificata” o comunque variata, avvolge e piacevolmente imprigiona: i tasselli anche non apparentemente necessari, diventano essenziali a comporre quell’attimo del racconto. Il quadro d’unione che nasce dà risposte non previste, inattese e alle volte non definitive, che stuzzicano.
Milo, nel suo compito di “apritore” di scatole e cassetti di vite e di vissuti, vedrà definirsi e disgregarsi davanti ai suoi occhi luoghi, fatti e persone fino a poco prima inattaccabili e inossidabili. Scoprirà quelle che sono le fragilità di un paese che di chiaro ha solo la parte del suo nome (PozzoChiaro) e che i suoi abitanti sono vittime e carnefici di pregiudizi verso ciò che è diverso dal perbenismo di rito. Inadatti ad accettare l’imperfetto, il diverso dalla prassi del comune vivere. Vittime di quella “perfezione” del perbene che troppo spesso maschera vite difficili, violenze subite ed emozioni troppo forti per essere accettate nel loro dolore.
Apprendere i vortici complessi degli “adulti” destabilizza Milo, facendo venire meno le certezze in cui è cresciuto fino a quel momento. Ogni azione, da qui in avanti, propria o rivolta ad altri, necessariamente sarà preceduta da una decisione e seguita da una conseguenza con cui ogni adulto (lui per primo) dovrà e deve fare i conti: in bilico tra errori, atti e azioni impreviste e inaspettate, volute o forse cercate.
Ma Milo non è ancora un adulto. Il cinismo che troppo spesso avvolge la vita dei grandi non ha ancora pervaso il suo pensiero.
La sua anima di “bambino” lo farà ancora ragionare con il cuore, con i sentimenti che in fin dei conti ci uniscono nostro malgrado all’altro e che sempre riescono, anche in extremis, a farci leali e veri nel nostro essere persone e che troppo spesso dimentichiamo.