Intervista a Alessandra Tucci, autrice de “La Luce Della Follia”
Avvocato e scrittrice, due aspetti che di fatto diventano parte della persona, Alessandra Tucci si muove nel mondo giuridico e nel mondo della lett(erat)ura e di ogni forma di arte (“che abbatte frontiere e rende tutto possibile, rende possibile la bellezza“). Di fatto la parola è il suo primo e principale strumento. Di lavoro e di vita. Ne conosce bene potere e bellezza e ne ha profondo rispetto. In questa intervista ci parla del suo La Luce Della Follia.
Parliamo subito del tuo ultimo libro. Raccontaci brevemente la trama e in quale genere si colloca.
Un incontro-scontro tra un uomo di stracci ed una donna in lotta con se stessa, la società, l’amore che catapulta lei, Lucilla, dentro una fitta ed aggrovigliata rete di eventi e persone che si rincorrono veloci e senza un apparente senso. E dentro l’amore, dentro la vita di Mattia, straordinariamente somigliante all’uomo di stracci. Un viaggio che esige il coraggio di entrare dentro di sé.
Parlaci di te e del tuo amore per la scrittura: come nasce?
La scrittura non la scelgo, non l’ho mai fatto. La scrittura semplicemente mi accade. E non mi lascia vie di fuga. Ha idea di cosa significhi percepire (o solo intuire) all’improvviso e dal nulla un’immagine e/o un’idea e quasi in contemporanea vedere le parole vorticare davanti a sé e lentamente, una ad una, andare a prendere il proprio posto e così cucire l’abito su misura all’immagine-idea?
Quanto tempo hai impiegato a scrivere questo libro? Descrivi un po’ l’atmosfera e l’ambiente, lascia che i lettori possano immaginarti mentre sei intento a scrivere.
Ogni sera. Per centoventi sere di seguito, alle ventidue, arrivava l’io narrante del romanzo, carico di immagini e parole e vite. Più che una voce, una insoffocabile eco. Aveva una storia da raccontarmi e non ha saltato uno solo degli appuntamenti imposti per farlo. Arrivava alle ventidue, andava via a mezzanotte. Sempre dannatamente puntuale. Da marzo a luglio, senza tregua, nessun fiato.
Sappiamo che hai uno stile tuo, ma stando al gioco, a quale autore del presente o del passato ti senti (o aspiri) di somigliare e in quali aspetti? Fai un gioco analogo per il tuo libro.
Dostoevski, è a lui che vorrei somigliare. E alla Fallaci, Charlotte Bronte, Marai. Alla leziosità catartica di Wilde e Baudelaire, all’ironica profondità di Sibaldi e Bristol. Sì, sono tremendamente diversi tra loro, agli antipodi. Ma loro sono in me, ed io sono nella mia scrittura.
Se dovessi consigliare una colonna sonora da scegliere come sottofondo durante la lettura del tuo libro, cosa sceglieresti?
La colonna sonora del mio libro non devo sceglierla. Esiste già grazie all’estro creativo di una mia grande amica, eccezionale musicista: Raffaella Valente che, letto il romanzo, l’ha praticamente tradotto in musica soffiando con il suo pianoforte la vita dentro ogni singolo personaggio. Nota dopo nota, battito a battito.
Un’ultima domanda per salutarci. Rivolgiti ai nostri 300.000 mila lettori, con un tweet in 140 caratteri.
Esci dalla tua gabbia mentale e lasciati andare a quello che ti accade, disinnesca il pilota automatico ed entra negli eventi, entra dentro di te, osserva, osservati, ascolta, osa, se vuoi capire devi vivere. Luce o buio, dipende da te.