Il fu Mattia Pascal | Luigi Pirandello
Pirandello si trova nel suo meraviglioso groviglio di dubbi e di perché: ha appena scritto il suo terzo romanzo, Il fu Mattia Pascal con tutta la passione, pignoleria e stravaganza che lo contraddistingue. Ogni storia, ogni evento viene vissuto con umoristico tormento.
Egli comprende che l’analisi dell’uomo, delle sue forme e delle sue intrinseche peculiarità incomincia ad intrecciarsi con elementi esterni, che nascono in una società in via di trasformazione e sconvolgimento.
Tutto ciò che bisogna sapere è la sofferenza vissuta dal nostro autore, che lo porta ad annullarsi nello studio dell’individuo.
Il “sentimento del contrario” è l’arma più feroce per smascherare ataviche inerzie del passato di sempre.
Ogni dettaglio viene sminuzzato, frantumato in miliardi di segmenti che non trovano più una giusta e sana dimensione. L’analisi del testo porta a smarrimento e desolazione.
Demolizione dell’io che sente scivolare dentro di sé, un magma incandescente di vita, ma che non sa plasmarlo agli occhi del mondo e non sa godere di quella vena umoristica che lo contraddistingue.
L’ombra dell’individuo diventa una zavorra implacabile e insostenibile per se stesso e per gli altri: essenza così flebile, impalpabile, apparentemente insignificante, eppure così tremendamente ineliminabile.
Mattia Pascal è un misero bibliotecario, alle prese con tante parole scritte, dette, urlate, con tanti discorsi di persone e personaggi del passato, che affollano ormai il suo presente.
Un mestiere che diventa così insostenibile da essere odiato.
Mattia necessita di una fuga da quella vita ormai ridotta al nulla.
È indispensabile l’analisi dell’io per comprendere quanto dolore e quanta insoddisfazione naviga nella nostra anima:Mattia si agita in silenzio, lacerato nel suo disagio di essere, così, inesistente.
Uomo-ombra non vuole accettare se stesso, la propria presenza, la propria fisicità nell’universo degli altri.
Non più sguardo per se stesso, ma occhio guercio per gli altri.
Vani gli sforzi di nascondere, mascherare, sfumare un occhio troppo storto, da poter guardare ovunque.
Vani i tentativi di apparire normale e visibile.
Vane le fatiche di essere uno per se stessi e per gli altri.
Occhio che scruta, che sente, che conosce ed avverte il dramma.
Dono e dannazione di un individuo che si trova sul limbo della propria ombra che si nasconde, prossima alla morte.
Occhio inquietante che ha bisogno di annullarsi per vedere nello specchio un’immagine diversa, e per questo, non più vera, non più viva, non più, per se stessi.
Cambiare aspetto, nome, città, amici e conoscenti servirà soltanto a reiterare il dolore, ora più vivo, più sentito, eppure morto in un corpo senza società.
Il mondo che lo circonda è sempre lo stesso, quello che muta, che cambia, che inventa mille schemi per poi buttare cenere su un vulcano che sta per esplodere.
Mattia si danna, non può essere più se stesso, e Adriano, dopo la fervente euforia della sua rinascita, arriva ben presto alla triste consapevolezza di non-essere, ancor più di Mattia.
Sospeso tra il non essere e l’essere, nato dal nulla di se stesso, Mattia-Adriano incomincia ad analizzare il tormento della sua esistenza.
La decisione di divenire fu Mattia Pascal per rinascere a nuova vita come Adriano, lo fa sentire svuotato ancor più di prima, senza patria, senza nome, senza più posto, spazio, tempo.
Un corpo senza dimensione alcuna, smarrito, morto, eppure apparentemente vivo.
Quale dramma più grande ed insostenibile può agitarsi nella mente di un individuo?
Quale tristezza più lacerante può abitare l’anima?
Quell’occhio, ormai dritto, può solo guardare la vita degli altri, come in un film.
Occhio triste, muto, inetto, dolorante, che non appartiene più ad un corpo.
Occhio solo.
Carico dell’esperienza della propria morte, Adriano decide di morire per dare spazio ad un Mattia diverso, cambiato, ricco dell’esperienza dell’altrove.
Avere vissuto, o meglio, abitato la dimensione della propria morte, gli dona l’irrefrenabile slancio, di tornare a vivere, più di prima, assaporando la vita, come mai gli era stato concesso, e come mai aveva sperato.
Finge la morte di Adriano, vissuto per pochi, finzione della propria ombra, in una dimensione di sospensione tra vita e morte altrui.
Mattia si sente vivo, finalmente, impaziente di raccontarsi, recupera, per quanto è in suo potere, l’aspetto che gli avevano portato via, le sembianze uccise dalla morte attribuita dagli altri.
Unico elemento straniante è il suo occhio, ormai dritto, che squarcia e ricorda il trapassare tra le due dimensioni.
Mattia già avverte di essere sospeso, ma fantastica ancora in un felice ritorno, che possa restituirgli la sua vera vita.
Non viene riconosciuto, egli stesso non si riconosce più, il tempo e lo spazio sono inclementi, ed allora non gli resta che aspettare la sua terza e definitiva morte; forse l’unica che possa collocarlo nella giusta dimensione e risarcirlo di quel dolore ineluttabile che ha provocato il suo interminabile tormento.
Apaticamente decide di scrivere la propria storia, di renderla agli altri e da forestiero della vita si reca sulla propria tomba. Non per pregare, ma per vedere e per sentire da una dimensione altra la propria vita.
Gennaio 16, 2018
Bellissima recensione