IL DIRITTO ALL’ALLEGRIA – MARIO BENEDETTI
Riflessioni e pensieri – che non ti aspetti – nascono dalle molte e forse infinite chiavi di lettura che offrono le 200 pagine de “Il diritto all’Allegria ” opera postuma di Mario Benedetti edita da Nottetempo (2017).
“L’allegria è un prestito, non ci appartiene. È una piccola follia, un premio passeggero, ma ne godiamo come se fosse nostra, come un guadagno, come una primavera della vita”.
L’allegria è davvero capace di sorprenderci e sempre ci riesce.
Ci sorprende nei momenti più inaspettati della nostra esistenza, in quell’angolo della nostra anima dove abbiamo scelto di nascondere i nostri più profondi sentire.
Dove ci sono quel salice, quel mirto, quel pioppo scossi dalla brezza che, timida e leggera, si addensa, sospesa tra il caldo dell’estate della vita e il freddo dell’inverno che ne anticipa la fine.
Lì nascosto all’ombra, delimitato da un seggiola di legno rossiccia c’è il “nostro angolo”, tutto privato, dove poter godere di quell’Allegria che forse ci appartiene: nascosti da tutti, esausti, pigri e forse anche un po’ distratti.
Sediamo e prendiamo coscienza dello scorrere lento e inesorabile del tempo e delle cose: in un continuo bilico, dove la disattenzione verso l’altro si trasforma in un Silenzio assordante e dove l’essere umano tra l’Opacità dell’esistere e la Trasparenza delle emozioni prende, e contemporaneamente perde, corpo mentre la propria essenza diventa sempre più sottile fino a un passo dalla scomparsa.
Malgrado quest’ultima sembri inevitabile e di là da venire, ogni sentore di vita diventa più imperativo e protagonista: dalle Assenze agli Applausi, dalla presa di coscienza al Crepuscolo della vita, dalla Passione politica a quella verso un Amore, viscerale, passionale, necessario per raggiungere ciò che solo la “Gloria” possiede: non supremazia scontata che eleva nella superbia, ma capacità raggiunta del singolo di rialzarsi sempre a ogni battuta d’arresto nell’interminabile alternarsi di passato e futuro.
Mario Benedetti (1920 – 2009) uruguagio di origini italiane, narratore, poeta saggista ha attraversato le molteplici emozioni della vita (propria e altrui) e le alternate vicissitudini politiche della storia recente del mondo sudamericano, riuscendo nell’intento di dare, attraverso la sua opera, una lettura diversa, attenta, mai banale, quasi universale, degli stati dell’animo umano e del susseguirsi delle cose unendo vita e contemporaneità, parti integranti e manifeste di una soggettività intima e collettiva chiara e lineare assolvendo, così, all’obbligo primario dello scrittore e del poeta: porsi perplessità per comprendere la complessità tipiche del vivere dell’uomo.
Nel prendere in mano “Il diritto all’allegria” sorgono quasi immediate due reazioni: paragonarlo a “La Tregua”, altro romanzo d’eccellenza scritto da Benedetti (sempre edito da Nottetempo) e definirlo “testamento” letterario dell’autore.
Ma in entrambi i casi, peccheremmo dell’errore madornale di sminuire l’opera dell’autore.
Non si tratta di un romanzo, quanto meno un testamento: piuttosto si avvicina al saggio didascalico, a tratti “diario di appunti personali” .
La modulazione tra le tre parti in cui è composta l’opera (Vivere, Di Proposito e Cianfrusaglie) ha la peculiarità di proporre e di invogliare a una lettura “stratificata”, “multi piano”, anche un po’ scombinata vicina al “vademecum” : un buon esercizio per apprezzarne al massimo la poliedricità è quello di affiancare a una lettura lineare, una a “salto” o casuale delle diverse pagine, capace di rivelare da subito pieghe interpretative e di riflessione sempre diverse e rivelatrici.
Quasi dovesse comporre uno “sparito del vivere”, Benedetti racconta, usa e ferma parole, idee e riflessioni in un pentagramma immaginario a mo’ di note, diesis e crome di un vivere, alle volte intonato, più spesso stonato, in cui modulare sensazioni comuni.
Allora ecco comparire sul pentagramma la Paura, atto obbligatorio dell’uomo per evitare il fallimento, la Pietà, che si nutre d’amore e profuma di primavera, la Gloria, necessaria all’uomo per rialzarsi dopo le molte boccate di polvere, la Semplicità, di cui la morte è l’apice, la Realtà, manciata di poesie su cui nessuno rivendica i diritti d’autore, fino ad arrivare alla rappresentazione dell’essere umano con un’Isola.
La melodia risultante ha tutti i dettami della Musica, che fa vivere e rivivere la vita di prima e di adesso in una danza che si modula diventando un tango abbagliante e coinvolgente che sa di passato nel suo rivendicare la limitatezza del vivere reale. Un limite non da poco e di cui, nel nostro cuore, conosciamo già il nome: Tristezza
Essa è un dolore invisibile dell’uomo, certo, ma ha un pregio: la Sincerità.
E da questo binomio indissolubile – Tristezza Sincerità – non può che nascere la linfa vitale a cui ambire inevitabilmente, ovvero l’Amore dai cui nasce leggera ed inaspettata, appunto, l’Allegria.
Nel palesarsi di quest’ultima, non possiamo far altro che assaporarne la presenza che dolcemente ma decisamente ci sussurra:
“…. per favore, non cedere nemmeno quando il freddo scotterà, la paura morderà, il sole nasconderà e il vento si tacerà: c’è ancora fuoco nella tua anima, c’è ancora vita nei tuoi sogni.
La vita è tua, tuo il desiderio, perché ogni giorno è un nuovo inizio, perché questo è il migliore dei momenti, perché non sei da solo, per io ti amo!”