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Un pericoloso segreto minaccia l’Occidente e Gerusalemme 

regole-mosca-silvaLavoro difficile fare il giornalista in Russia, di questi tempi. Nella migliore delle ipotesi, significa soggiacere ad un costante controllo, discreto e non, situazione decisamente scomoda, dovendo condurre dopotutto una professione che deve tendere ad accertare la verità. Condiziona pesantemente la vita (quando non la cancella del tutto). Nelle prime pagine del thriller dell’americano Daniel Silva, “Le regole di Mosca” (ora in versione tascabile per Beat Edizioni, collana Bestbeat, 2016, 416 pagine 6,90 euro), il cronista Aleksandr Victorovic Lubin è costretto a comportarsi né più né meno come una spia.

Lubin, giornalista sgradito al Cremlino

Prendendo possesso della camera che gli viene assegnata in un hotel a Courchevel, la stazione sciistica alpina, smonta tutta la stanza, pezzo per pezzo. Estrae i cassetti, svita ogni lampadina. Rivolta il letto a due piazze. Scoperchia l’apparecchio telefonico. Svuota nel water la bottiglia omaggio di acqua minerale. Getta in strada i due cioccolatini di cortesia. Poi rimette in ordine in pochi minuti.

È solamente la sua attività professionale a indurlo a quelle misure drastiche, il lavoro più pericoloso possibile nella nuova Russia. La sua rivista è tra gli ultimi settimanali d’inchiesta superstiti nel Paese e ovviamente è sgradita al Cremlino. Cronisti e fotografi vengono tallonati dagli agenti di Putin e dalla sicurezza al servizio dei potenti oligarchi, obiettivo delle loro costante ricerca di notizie. Contro i giornalisti, agiscono squadre intere di uomini per i quali disseminare di microspie o veleno una camera d’albergo è l’ultimo dei problemi, fedeli alla dottrina staliniana: la morte risolve tutti i problemi. Niente uomini, niente problemi.

Allon, agente del Mossad in incognito

Per questo Lubin è costretto a comportarsi come una spia in incognito.  A proposito di agenti sotto copertura: uno è esattamente il giovane che poche pagine più avanti vediamo acquistare un giornale straniero in edicola, ad Assisi. È l’Herald Tribune e sta ad indicare “via libera”. Qualora avesse accertato invece una situazione di pericolo, ad esempio l’essere tallonato dai servizi italiani, avrebbe comprato un quotidiano locale, per far sapere ad un attento osservatore che non è il caso di incontrarsi. Perché il restauratore conosciuto come Alessio Vianelli è in realtà un cittadino israeliano, Gabriel Allon.

Abbiamo, quindi, un giornalista russo che si comporta come un agente segreto e un vero agente del Mossad che agisce nelle vesti di abilissimo tecnico delle belle arti. Sembrano destinati a conoscersi, ma non in vita, a quanto pare, perché Lubin viene ucciso nell’albergo sulle Alpi francesi, poco prima di Natale. È quello che un altro operatore dei Servizi, Uzi Navot, rivela al collega Allon, prima di informarlo che un uomo sembra avere un messaggio importante da comunicare, riguardo una grave minaccia alla sicurezza dell’Occidente e dello Stato di Israele.

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Una telefonata innesca una spirale di tensione

Tre giorni prima, l’ambasciata israeliana a Roma ha ricevuto una telefonata da un certo Boris Ostrovskij. Qualificandosi come redattore capo della testata del defunto, ha chiesto di incontrare un rappresentante dei servizi segreti israeliani, per rivelare la natura della minaccia.

Secondo, la sede centrale del Mossad, Boris è una figura credibile. E a King Saul Boulevard sono tutti ansiosi di sentire quel che ha da raccontare.

Per le loro esigenze, le spie israeliane devono accontentarsi di semplici “rifugi sicuri” a Roma, sebbene quello che Gabriel raggiunge nella capitale non risponde esattamente alla definizione, trovandosi sulla sommità della scalinata di Trinità dei Monti, sopra Piazza di Spagna. Un posto da migliaia di euro al metro quadro. Del resto, qualche merito lui e i suoi l’hanno guadagnato, quando hanno difeso il Vaticano due anni prima dall’attacco di terroristi islamici.

Sono tempi duri, non solo per i giornalisti russi, che muoiono come le mosche. Quali tempi? Ma quelli di Paolo VII sul trono pontificio, che domande!

Allon e il redattore capo raggiungono il luogo dell’appuntamento, nella basilica di San Pietro, ma non riescono a parlare, perché quando l’israeliano si avvicina, il russo sta già morendo soffocato, sotto la statua di Pio XII, nei pressi della Pietà di Michelangelo. Un grande capolavoro per una brutta morte: veleno.

Sul braccio destro appare un foro minuscolo. L’assassino ha iniettato una sostanza che paralizza il sistema respiratorio in pochi minuti. È di fabbricazione russa, brevettata dal KGB durante la guerra fredda.

Un segreto inseguito per tutta l’Europa

Sicchè, quanto Ostrovskij doveva rivelare rischia di restare una verità decisamente scomoda ma ignota, con tutte le preoccupanti conseguenze minacciate dal richiedente al momento di sollecitare l’appuntamento.

Il romanzo rimbalza da Gerusalemme a San Pietroburgo, staziona a Mosca, alloggia qualche volta in Francia, a parte i momenti di relax del bravo Allon nel buen retiro in Umbria, dove realizza delicati restauri.

Ma qual è il segreto che ha causato la morte dei giornalisti russi? È vero che porta in alto, molto in alto, fino a certi palazzi del potere?

Autore: EffeElle

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