PordenoneLegge2016: domande, parole e musica
Il giallo e il nero sono i suoi colori; lo slogan è quello della punteggiatura; il simbolo della manifestazione cambia ogni edizione e mai come quest’anno è stato più azzeccato e apprezzato dal pubblico e dagli autori: un gatto nero dallo sguardo intenso . Di cosa sto parlando? Di PordenoneLegge2016, ormai alla sua diciassettesima edizione. Traguardo ragguardevole e non facile, che, anche quest’anno, ha confermato e superato quelle che erano le aspettative degli organizzatori (artistici e non) che pianificano, preparano e organizzano sempre con immutata dedizione e professionalità la manifestazione che ormai è passata da “semplice” traino del solo territorio pordenonese, a brand identificativo della regione Friuli Venezia Giulia.
A cosa si deve questo costante riscontro di pubblico? Ripetersi non è facile, ma il rinnovarsi tenendo “fissa” la propria identità lo è ancor meno. Il rinnovamento di cui parlo, non è la pennellata di colore che si può trovare nell’invitare uno scrittore di grido abile ad attirare le folle: è quella necessaria ricerca di carpire e capire il “movimento veloce” della contemporaneità che non permette la riflessione, considerandola secondario passaggio a un vivere troppo ricco di tutto (nel bene e nel male) e che mina quelle che sono le necessarie radici comuni. Questa attenzione meticolosa, questo studio minuzioso di ogni piega della nostra realtà è cibo per i curatori (Villalta, Garlini e Gasparet) che, partendo da una sensibile e attenta osservazione del nostro presente letterario, fatto di autori, poeti e saggisti, codificano le giornate del festival in flussi narrativi, capaci di rintracciarsi secondo le esigenze di ciascuno, mai scontati, dove la riflessione, la sorpresa e la conferma di pensieri e deduzioni è sempre presente e trova spunti nella letteratura.
La letteratura, non è una scoperta, ma ha da sempre questa funzione: scorgere prima del presente il futuro, identificarne i punti deboli e di pregio, ponendosi domande, analizzando il passato per trovare appigli, non sempre chiari, ma necessari a cementare e a far ripartire quel “dopo” conseguenza inevitabile del vivere dell’uomo.
Di questo compito non ne ha fatto certo mistero Dacia Maraini che, nell’aprire la manifestazione, lo ha confermato presentando la sua “vita” attraverso la lettura di brani scelti tra i suoi scritti e affidati alla interpretazione inebriante ed epidermica di Piera degli Esposti. In quelle parole, divenute “voce” dell’anima, l’infanzia, i difficili bivi del vivere e il piacere solitario di far propria la letteratura, attraverso la lettura, hanno chiarito ulteriormente che il narrare prende spunto da ciò che è esistenza, anche nei suoi aspetti più nascosti e ignoti, intercettando attimi distratti dell’esistenza quotidiana: e come il palombaro si immerge negli abissi in cerca dell’ignoto, così lo scrittore sprofonda in quell’inconscio di cui è fatta la realtà, cercandone i confini (se esistenti), definendone i perimetri, evidenziandone (quando possibile) equilibri e squilibri.
Certo non è cosa facile. Cercas non ne fa mistero: lo sottolinea, nel suo modo ironico e affabile sia con gli addetti ai lavori che con i lettori nel Teatro Verdi: la letteratura, sottolinea, non ha il compito di dare risposte ma di fare domande, anche quelle a cui il lettore non penserebbe mai; domande, che una volte poste, non necessitano tanto di una risposta, quanto di una nuova domanda che in qualche modo contiene la precedente, senza soluzione di continuità. Alla stregua della vita, i cui momenti si susseguono uno dopo l’altro, fino ad arrivare all’epilogo, che non si rivela essere la risposta ma solo un modo diverso di porre una domanda. Poiché, non c’è dubbio, la letteratura “è una cosa seria”, e va affrontata con attenzione e giusta leggerezza e non come un semplice passatempo da ombrellone. In essa si decodifica l’uomo a tutto tondo in un circolo tra vita e morte.
Quest’ultima può addirittura divenire sfida per la vita e parte integrante di essa quando, nel porsi quelle domande, ci si esponga a persecuzione, tortura, omicidio, manifestando il coraggio di sostenere le proprie idee e convinzioni fino a rischiare di persona, come nell’intensa lezione di vita dataci dall’avvocato turco-kurdo Burhan Sonmez .
Ma la letteratura non è solo questo. Nel suo continuo alternare domande e risposte, prende tra le dita il bandolo del viaggio più intenso che ogni uomo compie, unione invisibile tra passato e presente, capace di tracciare gli schizzi di un dopo che chiameremo futuro: quel gomitolo di cui lo scrittore trova il canapo è la memoria, singola o di una comunità, poco importa; nel ripercorrerla, ritrovarla, rintracciarla ne confermiamo la centralità e quel potere legante che sola, la rende indispensabile per comprendere noi stessi, conducendoci sulla strada della comprensione e accettazione del diverso da noi, non solo l’immigrato o il disabile, ma anche il “lato oscuro”, fatto di insuccessi, paura ed emozioni positive e negative.
Memoria, domande, radici, ignoto, identità: tutto sembra accalcarsi attorno al lettore che si sente inghiottito e ancora più spaesato. Lo scrittore lo sa bene, poiché vittima dello stesso disagio; e poi accade semplicemente che le parole nella testa e poi su un foglio di carta si concatenino, si cerchino, si creino da sole, piene di quella forza espressiva che scaturisce autonoma, e che Peter Høeg (e noi con lui) chiama creatività.
Tutto allora diviene lineare e chiaro (anche al lettore): la letteratura si crea, si dilata e va oltre le pagine di un libro, trasformandosi in poesia che si unisce alla musica. Diventando quel tutt’uno che lo stesso Leopardi aveva descritto nello Zibaldone e che Mogol in qualche modo afferma di aver fatto suo: la capacità di modellare quella creta fatta di parole e musica, che si distilla dai fondali del nostro inconscio, informe, diventa memoria, forse o quasi, collettiva, socchiudendo la porta a una risposta che ora appare a portata di mano.
Ma proprio quando tutto sembra forse un po’ più limpido e le risposte quasi raggiunte, sornione lo scrittore/autore si alza, accarezza il pelo lucido del gatto che ha iniziato a fare le fusa e se ne va.
Il suo tempo a Pordenonelegge 2016 è terminato. Dietro di sé lascia una scia fatta di più di quaranta anteprime librarie, romanzi, riflessioni sul contingente politico, sociale e letterario, incontri con oltre 600 autori italiani e stranieri: un buon supporto, insomma, per una lettura lunga un anno fino a quando il colore giallo e nero e lo slogan fatto di punteggiatura riappariranno lungo le strade della città sul Noncello e sarà nuovamente PordenoneLegge 2017.