“La stranezza che ho nella testa” di Orhan Pamuk
Il Nobel turco Orhan Pamuk con “La stranezza che ho nella testa” uscito per Einaudi alla fine del 2015, ci regala un libro epocale, maestoso, senza dubbio un grande romanzo.
Con una narrativa omogenea e con un linguaggio semplice e coinvolgente, Pamuk ci racconta ancora una volta la sua amata Istanbul attraverso una storia che si sviluppa fra amore, religione e politica.
Il venditore di Boza innamorato
Il protagonista, Mevlut, nato povero negli anni ’50 in un villaggio dell’Anatolia, decide di raggiungere il padre a Istanbul vivendo in una sorta di baracca, nell’intento di aiutarlo nel suo mestiere di venditore ambulante di yogurt e soprattutto di Boza, una bevanda tradizionale di grano fermentato con una bassissima gradazione alcolica.
Imparerà bene il mestiere e dopo la dipartita del padre, diventerà a sua volta venditore ambulante di questa bevanda. In un ricevimento nuziale del cugino Suleyman, Mevlut per alcuni secondi incrocia lo sguardo di due sorelle della sposa e si innamora perdutamente di una di esse. Gli occhi di lei lo colpiscono al cuore e lo portano a scrivere, nei successivi tre anni, numerose lettere d’amore che rimangono senza risposta.
La fuga d’amore
Dopo questo lungo lasso di tempo, il cugino lo informa che delle tre figlie di Abdurrahman, sicuramente quella che ha colpito il suo cuore è Rayiha e, con la complicità di Suleyman, il nostro decide di rapirla in una notte buia e tempestosa visto che Rayiha vive rinchiusa nella casa paterna. Così i due futuri sposi si ritrovano in un furgone in direzione Istanbul: Mevlut e la sua amata ora sono finalmente insieme e nulla potrà più dividerli.
Un lampo nella tempesta illumina l’interno del furgone usato per la fuga e rileva il volto di Rayiha: quella non è la ragazza dagli occhi lucenti destinataria delle tante lettere d’amore da parte del protagonista ma sua sorella, chi lo ha ingannato e perché?
Da questo momento inizia una bellissima e avvincente storia lunga cinquantanni che vede protagonisti Mevlut e Rayiha e tutti i numerosi parenti e amici che con loro condivideranno tante vicende in una Istanbul in continua trasformazione.
Omar Pamuk e le pagine intrise di Letteratura
Attraverso la vita di Mevlut, attraverso il suo instancabile ottimismo, attraverso il suo attaccamento verso il mestiere di venditore ambulante di Boza che lo porta a girare tutti i quartieri della città al calare della sera, Pamuk ci regala pagine intense di letteratura e omaggia la sua Istanbul, straordinariamente affascinante ma ricca di incredibili contraddizioni.
Decine di personaggi si vanno ad incastrare in una trama complessa e ricca di colpi di scena soprattutto grazie a Mevlut, protagonista di tante storie non sempre a lieto fine che colpiscono il lettore per la loro grande umanità. Il libro è un omaggio verso i più deboli, gli emarginati, i poveri delle periferie, che non si arrendono mai e che sopravvivono grazie alla loro capacità di adattarsi ai grandi cambiamenti sociali e politici in corso e grazie all’amore come nel caso del nostro protagonista.
Il libro è anche un inno per quei mestieri tradizionali che la modernità vuole mettere in un angolo. Venditori ambulanti di varie mercanzie che sono il vero cuore pulsante della città, coloro che difendono le tradizioni e che regalano spesso momenti di calore e passione in una società che evolve senza guardarsi indietro.
Pamuk attraverso Mevlut e i suoi amici affronta anche i grandi temi religiosi e politici che caratterizzano la Turchia: le lotte intestine, il radicalismo religioso, il comunismo, la questione curda. Differenze etniche e religiose che fanno da sfondo al romanzo e risultano incredibilmente attuali se si pensa al recentissimo colpo di stato fallito in Turchia e alla repressione post golpe di Erdogan con le continue violazioni dei diritti civili.
Le storie si intrecciano come gli incroci della città
Tutte le storie poi si intrecciano con le grandi trasformazioni urbanistiche della città, trasformazioni urbanistiche che diventano sociali e che disegnano una Istanbul che c’era e che ora non c’è più per lasciar spazio alla città moderna che guarda con enorme difficoltà verso l’occidente. Una lotta tra il vecchio e il nuovo, tra i nuovi poveri e i nuovi ricchi, tra il futuro e le vecchie tradizioni.
“Negli ultimi venticinque anni Istanbul era così cambiata che a Mevlut queste storie dei suoi esordi adesso suonavano come favole antiche. Quando era arrivato in città per la prima volta, le strade erano quasi tutte lastricate, adesso erano asfaltate…per le strade non più gente umiliata e offesa, gente silenziosa, con indosso stracci grigi e sbiaditi, ma folle rumorose, vivaci e ambiziose”.
Tuttavia Mevlut ha già scelto e in una città destinata all’inesorabile cambiamento decide comunque di continuare a vendere la sua tradizionale Boza
“fu in quell’istante che Mevlut riconobbe la verità che a livello inconscio conosceva da tutto quel tempo: girovagare per le strade della città di notte faceva nascere in lui la sensazione di aggirarsi nei meandri della propria mente. Perciò parlare con i muri, i manifesti, le ombre e gli strani e misteriosi oggetti di cui, al buio, non riusciva a discernere i contorni era per lui come parlare con se stesso”.
Mevlut continuerà così la sua vita dura e presto solitaria, con la necessità di chiarire quale sia il suo vero amore, quale la sua donna amata: quella che ha rapito e poi sposato o quella dei suoi sogni intravista per pochi secondi?
“Ciò che voleva dire alla città, che voleva scrivere sui muri, gli era appena venuto in mente. Proveniva da dentro di lui, ed era tutto intorno a lui, era un’intenzione sia del cuore che delle labbra: Ho amato Rayiha più di ogni altra cosa a questo mondo, disse Mevlut tra sé e sé”.
Giannandrea Mencini
@gmencini1