Piccola dea: un’amica divina difettosamente umana
Pochi anni e incinte, Mia e Lorrie Ann, prima ragazzine poi giovani donne nel romanzo di Rufi Thorpe “Piccola dea”, Edizioni Sonzogno (270 pagine, 16,50 euro). La scrittrice californiana tratteggia una storia intensa e agrodolce, semplice semplice, di amicizia che supera il tempo, le avversità di una vita che sorprende e capovolge i valori, tradisce qualcuno e premia qualcun altro. Sedici anni negli Ottanta, sulla West Coast, Mia la ribelle, Lorrie la perfetta, come le rispettive famiglie, una scombinata, l’altra da Mulino Bianco. Una delle due è già in attesa, c’è cascata, in seconda superiore e con un ragazzo che non le andava nemmeno troppo a genio. In fatto di sesso, Ryan era un totale ignorante, a detta di Mia, la voce narrante in prima persona. Era del resto in linea con la filosofia della cattiva ragazza: meglio farlo la prima volta con uno di cui non ti importa niente, metti che fai qualcosa di cui ti potresti vergognare, sarebbe imbarazzante con uno di cui ti sei innamorata. Quanto a Lorrie Ann Swift, non c’era una ragazza più giusta di lei nel quartiere dove abitavano. Non perchè fosse straordinaria ma perchè ordinaria in modo superiore alle altre. Pura, bella e brava, capelli color miele e occhi blu oceano. Faceva sfigurare tutte, ma non la odiavano. Mia resta incinta a quindici anni e abortisce, con la complicità renitente di Lorrie, che invece in stato interessante anticipato ci finisce due anni appresso, poco dopo il diploma, ma non vuole abortire anche se non ama il ragazzo, Jim, ventiduenne. Si sposano in fretta e nasce il bambino, cerebroleso per un parto difficile. Dopo la morte del papà in un incidente stradale, è la seconda sciagura nella vita perfetta di Lorrie, che cambia radicalmente. Jim si arruola nell’esercito, perchè la trova una cosa eccitante, nobile e violenta da fare o forse per sfuggire ad una quotidianità difficile. Viene ucciso la seconda volta che va in missione. Con l’indennità di morte, la moglie si rimette alla pari coi debiti. Mia va a trovarla dopo sei mesi. Lor fuma erba, vive con un mediorientale senza gambe, tagliate entrambe all’altezza delle ginocchia dove si protendono due marchingegni meccanici che sembrano costruiti dalla Nasa. Il piccolo è in un angolo, sulla sedia a rotelle. È bello Zach. Non crescerà mai Zach. E va sempre protetto. Lorrie Ann è veramente messa male, rovinata dall’abuso di oppiacei. I sensi di colpa di Mia si fanno evidenti. Va riconosciuto che li affronta con stile e senza rovesciarli brutalmente addosso ai lettori. È un aspetto, questo, che valorizza un romanzo originale, agevole da seguire nelle dinamiche tra le due amiche e negli spostamenti di Mia in Europa, a Roma, ad Instanbul. Amara ma riflessiva, è sbalordita dal successo di una vita che aveva tutto per fallire: la mamma alcolista, i fratellastri abbandonati a se stessi e a lei, la sorellina maggiore, figlia di un altro padre, che chiama biologico e col quale non è mai riuscita a stabilire un rapporto. Mia che non ne faceva una giusta, che alle superiori non brillava, Mia che si laurea a Yale – Lorrie si era iscritta alla più popolare Berkeley University – in lettere classiche col massimo dei voti a tutti gli esami. Dopo un dottorato di ricerca alla Michigan e l’avvio di una relazione stabile con Franklin, amorevole e innamoratissimo secchione, traduce un poema sumerico che ha come protagonista la dea Inanna. Dalle tavolette incise con una scrittura tutta spigoli e cunei, viene fuori la storia di una donna antichissima ma sorprendentemente moderna. Aveva rubato la saggezza e la conoscenza al padre per regalarla all’umanità. Aveva sposato un mortale e lo aveva reso un dio. Una tostissima, secondo Mia, trooppo figa. La identificava nell’amica del cuore, la sua piccola dea inarrivabile. Lorrie Ann era la buona e lei la cattiva. Lorrie era la bella e Mia la sexy. Lor era riflessiva, mentre io ero furba, lei seria, io scaltra. Queste due ragazzine, poi donne, che si incrociano con tanta intensità emotiva in un percorso di vita, sono personaggi interamente fittizi, informa Rufi Thorpe nel finale. Invece, il poema sumerico di Inanna è autenticissimo, assicura.