Casa di bambola di Henrik Ibsen
Si avvicina il Natale e Nora, per la prima volta dopo otto anni di matrimonio, potrà fare acquisti senza badare a spese; suo marito,Torvald Helmer, ha un nuovo lavoro molto più remunerativo. In realtà, la famiglia Helmer non ha mai avuto reali difficoltà economiche, ma l’aspirazione di entrambi i coniugi è quella di poter raggiungere una posizione totalmente benestante e concedersi veri lussi. In casa l’atmosfera è festosa, ma viene rovinata dall’entrata in scena di Krogstad che rivela un fatto accaduto qualche anno prima nella vita di Nora, la quale commise un reato. Ora la ricatta, minacciando di svelare tutto al marito se non lo aiuterà a corromperlo facendogli così conservare il posto di lavoro. Alla fine Torvald viene a conoscenza dell’accaduto, ma non si comporta come si aspetterebbe sua moglie, deludendola. Nora lascia la casa, il marito ed i figli e va via.
Lo scandalo a teatro
Tra le opere teatrali di Ibsen, Casa di bambola è di sicuro la più famosa e quella che suscitò maggiore scandalo alla sua prima rappresentazione. La sua protagonista è stata vista come la proto femminista per eccellenza, tuttavia la critica più recente ha rifiutato questo cliché. Trattandosi di un’opera teatrale è ovvio che manchi la descrizione psicologica dei personaggi, ma, fin dall’inizio, specialmente nella rappresentazione dell’ambiente (“Una stanza raccolta, messa con gusto, ma senza lusso“), si notano non solo l’ipocrisia della società borghese di fine Ottocento (l’opera è del 1879) quanto il desiderio dei personaggi di poter ottenere quel lusso mai avuto ed ora a portata di mano. L’impressione è rimarcata dall’entrata in scena di Nora, giovane donna bella e seducente, che mostra tutta la sua frivolezza e la passione per le apparenze manifestando un’esagerata soddisfazione per gli acquisti fatti. L’ostentazione del lusso per lei è una meta da raggiungere, fa sfoggio della sua recente condizione economica più che agiata anche con l’amica Linde che, per contro, ha necessità estrema di lavorare. E non si ferma qui: le fa notare che la trova invecchiata e finge di dispiacersi della sua condizione di vedova senza figli. È un susseguirsi di “Io, invece…” privi di ogni compassione, nonostante la tanto magnificata felicità di Nora non derivi per niente dai tre figli o dal matrimonio. I bambini sono una presenza solo avvertita, restano sempre fuori dalla scena affidati alla balia come una presenza scomoda e ingombrante, mentre il rapporto con il marito è chiaramente inautentico e spia di ciò sono i nomignoli ed i vezzeggiativi ridicoli con i quali il marito si rivolge alla moglie-bambola-bambina. Torvald la considera un bell’oggetto da esibire in società ben agghindato; critica le sue spese inutili, ma poi cede, forse perché lusingato dalla moine della moglie.
“Allora cade la maschera”
In fondo, i due esprimono benissimo i ruoli assegnati ai due sessi alla fine del XIX secolo: il maschio Padre-Padrone e la donna relegata in una condizione di inferiorità, tutt’al più promossa ad oggetto di cui compiacersi e dal quale trarre piacere. La forte attrazione fisica ed erotica che la bellezza di Nora esercita sul marito è palese nella descrizione del ballo in maschera, soprattutto nella scena del frettoloso ritorno a casa indotto dal bisogno impellente di placare l’euforia dei sensi. Purtroppo l’esito non sarà quello atteso. Messo al corrente delle malefatte della moglie, Torvald cambia registro, pretende che Nora si comporti da donna, che si assuma le sue responsabilità. In realtà, più egoista e ipocrita di lei, pensa al suo personale interesse e non fa proprio cenno all’ipotesi di addossarsi lui la colpa per difenderla. Infatti era questo che Nora si aspettava. Allora cade la maschera. Nora, dopo una repentina presa di coscienza della realtà, lo paragona a suo padre che l’aveva trattata come una “pupattola” così come lui l’ha sempre trattata come una “bambola grande” e, delusa, va via. In questa presa di posizione finale molti hanno voluto vedere il proto femminismo di Nora, ma, a ben guardare, questa donna non ha assolutamente nulla della donna desiderosa di emanciparsi e di conquistare il ruolo che le spetta in una società maschilista. È una donna vanesia, insensibile, che non si perita di offendere, di calpestare i sentimenti altrui, che non ha esitato a raggirare, falsificandone la firma, il padre morente. Si vanta di averlo fatto per “acquistare” per suo marito le migliori cure, ma quasi certamente lo ha fatto perché una persona più ricca di lei lo avrebbe fatto, per non essere da meno. La sola arma che sappia usare è quella della seduzione, in fondo non aspira ad altro che a rimanere una bambola, dichiarando (cosa che oggi ci sconcerta) che il lavoro è cosa da uomini. Parimenti vuole rimanere figlia, vuole un marito-padre che la difenda e forse per questo il ruolo di madre non le si addice – se non addirittura lo rifiuta – tanto da non pensare neppure per un istante che, andando via di casa, non lascerà solo il marito ma anche tre figli. Il finale non è chiaro, ma poco importa. Alcuni sostengono che si sia trattato dell’ennesima farsa, che abbia solo finto di andar via nella speranza che Torvald la rincorra per conservare il suo posto di bambolina.
Nora e l’anti-femminismo
Dunque nulla di più lontano da una rivendicazione femminista ante litteram, quanto piuttosto la piena accettazione della condizione di donna-oggetto vissuta anche con un certo compiacimento. Forse qualche palpito contrario Nora lo avverte, ma il prezzo da pagare per diventare donna forse le pare troppo alto, le perdite insopportabili, forse sa di non avere neppure le armi giuste per affrontare la battaglia. Se Nora va via di casa NON lo fa perché ha riconosciuto nel marito il padre-padrone, bensì perché lui ha tradito la sua convinzione che lo sarebbe stato in ogni occasione accorrendo in aiuto della mogliettina-bambina. Dopo più di un secolo è giusto far crollare questo falso mito, congedare per sempre un personaggio falsamente leggendario, osservandolo da una diversa visuale, smettendo di prendere a modello una figura di donna che chiaramente nega ciò che si sarebbe voluto avesse affermato, anzi,“leggendo” Nora come l’immagine dell’anti-femminista, senza nulla togliere alla qualità artistica dell’opera che rimane una delle più belle di Henrik Ibsen. Ida Tortora