Briganti e galantuomini: ribelli e rappresaglie dopo l’Unità d’Italia, quando i nazisti indossavano il kepì
Muntagne, sempre muntagne! È con la reiterata abituale esclamazione, apparentemente misteriosa, che i discendenti ricordavano l’avo impegnato nella lotta al brigantaggio postunitario. Inseguimenti e cacce all’uomo sulle alture. Sali, scendi, a volte spara. E qualche volta, muori. Una guerra feroce di poveri cristi, che il pronipote Claudio Conti racconta in un romanzo densamente imbevuto di storia vera. Storia patria, si diceva una volta, ma che fatica trovarne una in quella guerra di agguati, schioppettate, gole tagliate, prigionieri seviziati. Si stenta a distinguere le ragioni dai torti e a cogliere a volte una natura umana comune, nella lotta infame senza pietà tra briganti e piemuntisi. Che poi non erano solo settentrionali, tanto meno piemontesi, ma venivano da ogni parte d’Italia, meridione compreso, dato che la leva obbligatoria impegnava in arme tutti i ragazzi dello Stato neonato, cresciuto a dismisura rispetto all’originario Regno di Sardegna. Il romano Conti – si professa mediterraneo, pur avendo sempre vissuto al Nord – nato nel 1939, matematico, docente universitario fino al 1981, approdato tardi alla narrativa storico-avventurosa, è autore per le edizioni leccesi Capone di Briganti e galantuomini. Dai Borbone ai Savoia (aprile 2015, 216 pagine, 13 euro). È lo stesso autore a spiegare che sullo sfondo delle vicende del sottotenente Gaetano Papolla da Deliceto (in provincia di Foggia) c’è proprio lo scontro che ha opposto i briganti al nuovo esercito, i contadini senza terra ai latifondisti. Il racconto segue il percorso di maturazione intellettuale e morale di un giovane uomo, natura d’artista – è un ottimo pittore – famiglia agiata, militare di professione. Alto, occhi azzurri, in curioso contrasto coi tratti scuri e forti ma non volgari del volto, addestrato fin dall’adolescenza nella Nunziatella, la scuola militare napoletana ed ex tenente borbonico. Si trova arruolato nella fanteria italiana come sottotenente, senza aver mai sparato un colpo. Attraverso quanto accade sotto i suoi occhi, si osservano le miserie e le viltà della guerra senza quartiere che insanguinò per dieci anni il Mezzogiorno, le ingiustizie, l’incapacità di capire degli uni e degli altri. Si coglie, tra l’altro, dolorosamente, l’atteggiamento sprezzante dei militari del Nord nei confronti dei colleghi del Sud, un complesso di superiorità che presenta tutte le sfumature, tra il disprezzo esplicito e la sopportazione. Conti stesso fa notare che: