Mi ricordo di Paola Capriolo
Ogni volta che termino la lettura di un romanzo, resto per qualche minuto con in mano il libro chiuso (o il reader spento) e gli occhi serrati, cercando di capire le emozioni e le sensazioni che ho provato durante la lettura. Le reazioni variano molto a seconda che si sia trattato di un libro d’amore, di suspense o d’avventura. Ci sono quei libri che fanno sognare, altri fanno viaggiare la nostra mente e lavorar la fantasia ed altri ancora ci fanno innamorare. E poi ci sono quei libri come Mi ricordo di Paola Capriolo (Giunti Editore) che sono un turbinio di emozioni.
Quella che viene narrata è la storia di due donne, Sonja e Adela, vissute in un due epoche diverse ma unite dallo stesso sangue: sono infatti l’una la figlia dell’altra.
La storia di Sonja viene narrata in terza persona. Le sue emozioni, i suoi sentimenti nel ripercorrere il viale dei ricordi ci vengono raccontati, ma non per questo risultano meno incisivi o poco naturali.
Storia ben diversa è quella che ci viene presentata dalla stessa Adela attraverso alcune sue lettere scritte ad un illustre maestro, un poeta, che risultano essere più coinvolgenti perché sembrano rivolte a noi.
È un bel gioco quello creato dalla Capriolo, che ci fa vedere come due generazioni di donne affrontano la vita in due epoche così vicine, ma così moralmente distanti che sembrano essere narrate in due mondi diversi.
Da un lato c’è Sonja che sopravvive alla vita facendo la badante, trascinandosi dietro un bagaglio di ricordi che riaffiorano quando, riconoscendo in un annuncio l’indirizzo della sua casa d’infanzia, accetta un lavoro in quella casa dalla pareti azzurre con un fiume che le scorre di fianco. (Come non trovare familiare una simile descrizione, quando anche la mia casa si trova così situata? Anche se la mia casa d’infanzia ha le pareti rosa!). Ed è così che Sonja si ritrova nella casa in cui ha vissuto giorni più o meno felici del suo passato, ripercorre il viale dei ricordi, affrontando fantasmi e facendo i conti con un presente che non rispecchia certo i suoi sogni di bambina. Il tutto amplificato da un padrone di casa non del tutto incline alla benevolenza e al rispetto.
E dall’altro lato abbiamo la delicatezza e la purezza di Adela. In quelle lettere traspare tutta la sua innocenza. Ci sono le sensazioni di una quasi diciottenne che cresce e diventa donna, che vive in una cittadina che cambia man mano che il nazismo inizia a mietere le prime vittime. Ci sono i sogni spezzati e le paure di una ragazza, che ormai donna, non trova più alcun motivo per aver fiducia nel prossimo.
Non voglio raccontar troppo perché la trama è così delicata e coinvolgente che sarebbe un peccato anticiparvi dell’altro. Inutile dire che mi sento molto più vicina a Sonja (di certo non per l’età!) che ad Adela. Il motivo principale è che, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a concepire la crudeltà dell’uomo al tempo del nazismo. In diverse mie recensioni ho esternato questa mia difficoltà di comprensione dell’essere umano, ed ogni volta che leggo una storia che narra di quel periodo apprendo sempre un po’ di crudeltà in più che mi rende ancora più incredula. Io mi sento vicina a Sonja, nella sua fragilità, nella sua devozione, nel suo dolore e nella sua incapacità ad accettare il suo presente.
La vita a volte gioca con noi e il più delle volte ci chiediamo il senso di tali “scherzi del destino”, ma tutto ha un senso, come lo scorrere inesorabile di un fiume, che imperturbabile al mutar delle stagione, ad ogni primavera ridona vigore ai campi. A volte facciamo dei giri assurdi ma solo quando il cerchio si chiude possiamo realmente lasciare il passato alla spalle e guardare con nuova fiducia al nostro futuro. “Ti so e ti ricordo!”