La ballata di Adam Henry di Ian McEwan
Fiona Maye, giudice dell’Alta Corte di Londra, sta vivendo una profonda crisi matrimoniale che sconvolge l’ordine della sua esistenza. Reagisce buttandosi a capofitto nel lavoro, ed il caso le viene in aiuto presentandole una questione di difficile soluzione, quella di Adam Henry, un ragazzo di diciassette anni affetto da leucemia che necessiterebbe di trasfusioni, ma i genitori, testimoni di Geova, si oppongono in obbedienza ai dettami della loro religione.
Fiona decide di fargli visita e quell’incontro segnerà una svolta nelle esistenze di entrambi. Adam è a letto, è evidente la gravità estrema del suo stato di salute, mentre è sconvolgente la sua pertinace difesa dei principi religiosi del suo gruppo che sembrano averlo convinto ad accettare la morte. Ma Fiona non accetta una tale rassegnazione e, quando lo sente suonare il violino, si convince ancor di più che Adam deve continuare a vivere: la sua sentenza impone le trasfusioni.
Con ciò Fiona si è fatta carico della responsabilità di far continuare a vivere un ragazzo, offrendo al tempo stesso la possibilità ai genitori di poter gioire non solo per il miglioramento del figlio, ma anche della serenità di non aver tradito i dettami della loro religione.
La storia potrebbe anche finire qui, a metà libro, ed invece un fatto inaspettato complica la vicenda fino a giungere ad un finale imprevedibile…
La critica a La ballata di Adam Henry
L’ultimo romanzo del sessantaseienne McEwan, La ballata di Adam Henry, dopo la delusione di Miele, accolto con tiepido entusiasmo dai lettori, ci regala una storia che lascia il segno. Scritto con una prosa asciutta, senza infingimenti, va diritto al cuore del lettore come una freccia che colpisce il bersaglio esattamente al centro. La struttura è impeccabile tanto che neppure le parti dove viene usato un algido lessico giuridico provocano noia e stanchezza nel lettore. Ian McEwan sa inserire una sentenza nel tessuto vivo del romanzo e riesce a non far sentire note stridenti, mostrando una capacità narrativa già nota che ora si cimenta in un vero e proprio pezzo di bravura.
Sappiamo che McEwan non è un autore scontato e La ballata di Adam Henry ne è la prova ulteriore, pesa sulla coscienza del lettore come un macigno morale che non esaurisce i suoi interrogativi all’ultima pagina. Vera protagonista è la scelta tra la vita e la morte di un altro essere umano, anche se questa dovesse cozzare con diverse opzioni determinate da convinzioni religiose o particolari ideologie. La vita come valore supremo da difendere ad ogni costo, come diritto a conservare la possibilità di agire.
La rigida struttura morale di Fiona non le concede tentennamenti, lei ha vissuto adempiendo ai doveri di una classe sociale votata al successo, ma può bastare? È quello il solo criterio valutativo o esso fa nascere altri doveri ai quali non ci si potrà più sottrarre? Forse Fiona non ha valutato le conseguenze della sua decisione, non ha considerato che la vera richiesta di Adam non era quella di vivere ancora quanto di essere ascoltato. Fiona, che pure avrebbe dovuto notare le dissonanze della vita attraverso il comportamento fuori degli schemi del marito, crede di aver ritrovato il conforto dell’ordine e della rettitudine morale in una legge, magari sperando di poter rifare ordine nella sua stessa vita, ma non ha calcolato e non avrebbe potuto calcolare il peso dell’imponderabile. Ha agito da giudice, non da donna, sminuendo il terremoto psichico che la sua azione ha causato in Adam. Dal canto suo questi ha visto dinanzi a sé una donna alla quale poter rivolgere un interrogativo per ora celato, ma che chiede risposta.
Un romanzo, un lungo interrogativo
Senza voler svelare altro della trama e non volendo parlare dell’episodio che mette in moto la seconda parte del libro fino a condurci al finale, si può dire che l’elemento centrale del libro è la metafora legata alla ballata composta dal ragazzo e al valore della musica, dove si palesa un bisogno fondamentale ed universalmente umano che ogni lettore troverà a suo modo.
In fondo, questo romanzo, davvero straniante, è un lungo interrogativo senza risposta perché una risposta non è facile, ammesso che ci sia, così come è una sentita critica all’arroganza di chi crede di essere depositario della Verità. Contro questa convinzione resta la domanda non soddisfatta di un romanzo che non ha un vero finale, ma che risponde con un’altra domanda: abbiamo il diritto di scardinare idee e convinzioni senza premurarci di offrire delle valide alternative? Abbiamo il diritto di sostituirci agli altri e di decidere della loro vita?
Lettura vivamente consigliata a quanti non temono gli interrogativi e che non cercano solo risposte rassicuranti, e a chi ama solo i buoni libri.
Continuate la lettura con la recensione di un altro intenso libro di McEwan: Chesil Beach.