Stabat Mater di Tiziano Scarpa, l'amore filiale e la musica Stabat Mater di Tiziano Scarpa, l'amore filiale e la musica

Stabat Mater di Tiziano Scarpa, l’amore filiale e la musica

stabat mater recensioneIl romanzo. Premio Strega 2009, narra la storia di un’orfana cresciuta nell’Ospedale della Pietà a Venezia, negli anni in cui arriva come maestro Antonio Vivaldi. Cecilia è una bambina che è stata abbandonata alla nascita in un orfanotrofio e possiede solo la metà di sé, quella che le ha regalato sua madre prima di lasciarla in questo posto. Tutto ciò che Cecilia ha del suo passato è racchiuso in quella metà, che altro non è che una mezza rosa dei venti, l’altra metà per tradizione la conserva la madre, simbolo di un possibile, futuro ricongiungimento La lettura è affascinate, ancor più per chi, musicista come me, ha suonato centinaia di volte i concerti di Vivaldi e ne conosce la storia. Immedesimarsi in questa giovane Cecilia, (nome a caso che rimanda alla Santa patrona dei musicisti?) che nella musica riesce a trovare il conforto alla solitudine, alla profonda tristezza interiore è facile. La giovane non dorme la notte, si alza dal letto, cammina lungo i corridoi, si siede sulle scale, quando sente freddo si appoggia ad una parete che emana calore, poiché ci sono i tubi della caldaia e scrive. Scrive incessantemente lettere alla madre, di notte, in profonda inquietudine, alternando i racconti della giornata a presagi di morte. A quella materna poi si aggiunge un’altra figura femminile, creata dalla mente di Cecilia: la testa della compagna Maddalena, che dorme nella branda sopra di lei, diventa una caravaggesca testa di Medusa. Cecilia rimarca la sua solitudine con orgoglio: non si mescola alle compagne, lei è “la solitaria”, “l’invincibile”, vive ai margini di quella comunità; pur vestendo la divisa grigia delle altre e passando inosservata, si sente diversa; ne condivide il tempo e gli spazi, ma non per sua scelta. I giorni sono scanditi dalle regole rigide dell’orfanotrofio; la vita scorre monotona e il tempo lì dentro non le appartiene; neppure lei sente di appartenersi. Cecilia è una ragazza in apparenza superba e non mostra all’esterno la propria fragilità, ma come l’acqua è flusso, mutevolezza, così Cecilia è donna-in-divenire, alla ricerca di sé, e nelle sue parole si coglie la contraddittorietà dei pensieri, pesanti e aggrovigliati. Talvolta nelle lettere manifesta rancore alla madre, altre volte le rivolge accorate richieste d’amore:

Ogni parola che scrivo è soltanto un altro modo per dire il vostro nome, il nome che non conosco. Anche se scrivo cielo, terra, musica, dolore, io sto scrivendo sempre e soltanto mamma.
Crescendo si rende conto di quanto l’Ospedale-orfanotrofio sia una prigione dorata. Le fanciulle sono preservate dal conoscere la realtà a loro circostante, impedendo sia di apprendere il male sia di provare emozioni e sensazioni forti. Quando un giorno un’insegnante spiega ad un’allieva esterna, nobile, come suonare con “impeto”, la ragazza tramuta il termine in “passione sentimentale”. Cecilia ne è sconvolta! Ella non sa cosa sia provare passione per qualcuno. Per lei è nota solo la Passione di Gesù… Il titolo, Stabat Mater, è immediatamente riconducibile alla liturgia cattolica e alla musica: si tratta di una sequenza, ovvero di un inno liturgico in latino risalente al XIII secolo, generalmente attribuito a Jacopone da Todi. Il tema della prima parte della preghiera (l’incipit è Stabat Mater dolorosa: “Stava la Madre addolorata” ndr) è la sofferenza di Maria, madre di Gesù, durante la crocifissione e la Passione di Cristo. La popolarità che questa sequenza ha conosciuto nei secoli è attribuibile alla bellezza dei versi e al fatto che veniva recitata nel rito della Via Crucis e nella processione del Venerdì Santo. Numerosi furono i compositori che in tempi e modi diversi s’ispirarono al testo e scrissero dei celebri Stabat Mater: tra i più famosi, Scarlatti, Pergolesi, Rossini, Verdi, Donizetti, Salieri e Antonio Vivaldi. Il termine latino mater del titolo rinvia quindi alla Madre di Dio, la quale riveste un ruolo importante nell’opera di Scarpa, ma anche alla madre della protagonista, personaggio che non compare mai fisicamente nella vicenda, eppure è presenza pervasiva, addirittura ossessiva del romanzo. Nell’ambito del racconto si riescono ad apprezzare anche le caratteristiche tecniche e le innovazioni stilistiche musicali portate da Vivaldi nei suoi concerti: dalle Sinfonie in tre movimenti, all’imporre di suonare il violoncello alle ragazze nella posizione attuale, ritenuta molto sconveniente, alla musica descrittiva delle Stagioni e di tutto il Cimento dell’Armonia.
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Sono stata attraversata dal tempo e dallo spazio, e da tutto quello che essi portano dentro. Alla fine ero stravolta, in un’ora io sono stata musicalmente grandine, musicalmente afa, musicalmente gelo, musicalmente tepore, musicalmente piedi intirizziti, musicalmente pioggia leggera…
La musica di don Antonio entra dentro i nostri occhi, impregna le nostre teste, ci fa muovere le braccia.” E per chi ha affermato che Vivaldi ha scritto 250 volte lo stesso concerto, Tiziano Scarpa fa dire al prete rosso: “Sembra uguale. La linea melodica è la stessa, anche il ritmo, ma ho voluto vedere cosa succedeva se invece di affidare questa melodia al violino la facevo fare ad un oboe […] Non bisogna lasciare che le cose accadano soltanto dentro di noi. Dobbiamo aiutarle a venire al mondo meglio che possiamo, ripensarle, riscriverle, suonarle diversamente. Le uniche cose che la musica è in grado di imitare sono le nostre idee. Dobbiamo avere l’umiltà di farci capire. Dobbiamo usare la nostra complicazione per tirarne ingegnosamente fuori la semplicità”. Lo scrittore colloca l’opera nel passato, però il linguaggio è moderno, lo stile conciso e le frasi brevi: esse sembrano modellate sui moti dell’animo della voce narrante e nello stesso tempo sull’andamento dei moti musicali; l’introspezione prevale sull’azione, in particolare nella prima parte della vicenda, e la lettura, apparentemente scorrevole, offre molteplici piani di lettura, sottili rimandi, così come numerosi sono i ricorsi ad espedienti retorici. Ecco, in Stabat Mater viene descritta una Venezia sconosciuta ai più, un “mondo a parte” dove prevalgono gli interni, mentre gli esterni sono soprattutto i canali o le isole al largo, appena abbozzate, e l’acqua predomina sugli altri elementi. Annalisa Andriani azandriani@gmail.com Twitter @azandriani

Autore: Annalisa Andriani

Suono da più di vent’anni nell’Orchestra Sinfonica di Bari e insegno Violino dal 1994 con il Metodo Suzuki per bambini dai 3 anni in poi. Lettrice appassionata sono contenta di aver passato ai miei figli l’amore per i libri.

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3 Commenti

  1. Ringrazio l’autrice di questa recensione, per me un onore, essendo scritta da una violinista: è stata generosa ad apprezzare le mie piccole idee e impressioni piuttosto presuntuose, visto che non sono un musicista, ma un semplice ascoltatore appassionato.
    A partire dalla sua esperienza e dalla sua arte, Annalisa Andriani è entrata nell’intimità del libro molto più profondamente di parecchi critici letterari. Grazie.
    Tiziano Scarpa

  2. Sono onorata del commento alla mia recensione. Mi reputo un’appassionata di letteratura e come musicista sono sempre attratta da titoli che mi portano nel mio mondo artistico. Il suo libro è stato un’emozione continua e anche ora quando suono o insegno i concerti di Vivaldi non posso far a meno di ricordare alcuni passaggi del romanzo. Il piacere della lettura è un viaggio senza confini. Grazie Tiziano Scarpa.
    Annalisa

  3. Sia l’autore del libro e anche Annalisa li trovo sensazionali. Ora non mi resta che leggere il libro.bravi

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