Don Riccardo, una Macondo siciliana di Loredana Micati
È una società arcaica, chiusa, ipocrita, in bianco e nero quella in cui si sviluppa la vicenda, eppure appena si comincia a leggere questo libro non si fatica a capire che si andrà a leggerlo con piacere fino in fondo. Una storia non priva di asprezze, di scabrosità, di atteggiamenti colpevoli e inaccettabili, perfino per i lettori, figurarsi per i protagonisti.
Don Riccardo, della romana Loredana Micati (Mursia, 294 pagine) è un romanzo coinvolgente, che possiede un sapore antico, con un retrogusto agro dolce, qualche volta decisamente amaro. Con il suo fascino retrò, ricorda certe scene dei primi del ‘900, non per nulla vi è effettivamente ambientato. E quando non si sviluppa dietro le cortine di un sogno, scorrono pagine ricche di forti valori, di saldi principi, a fare da barriera contro gli egoismi, le chiusure, i cattivi pensieri di tanta gente che si agita nel corso della narrazione.
È sorprendente la leggerezza con cui vengono raccontati episodi e momenti difficili, comportamenti che comunicano un senso di pena, di smarrimento e che provengono dai recessi più bui e profondi dell’animo umano. Non a caso l’autrice, al debutto, è una psicanalista.
Si prenda la nascita di Richard Francesco, il Don Riccardo del titolo, l’inglisi, come lo chiamano a Roccafugata. È messo al mondo nel 1870 da una sedicenne dolcissima. Una bambina-madre, totalmente e nobilmente innocente. Il piccolo è il frutto di una violenza, subìta dalla ragazzina nella natia Inghilterra, in famiglia, ad opera di un “rispettabile” bruto, un religioso cattolico, parente prossimo e importante. Un caso odioso come pochi: l’infame non solo non riconosce il suo gesto odioso, ma dà dell’indemoniata alla giovanissima vittima, getta tutta la responsabilità sulle presunte bugie di lei, autoassolvendosi con un’ipocrisia che grida vendetta anche dalle pagine.
Liza, con la sua lunga treccia bionda da adolescente, è esiliata in Sicilia, allontanata dagli sguardi indiscreti, simulando un inesistente mal di petto da curare col sole e l’aria di mare. Riccardo nasce lì e viene adottato dalla buona Giulia. L’angelica ma risoluta piccola mamma muore poco dopo il rientro in patria. Cede al dolore di averlo dovuto lasciare e comunque non permette ostinatamente ai genitori di poterla rivedere. Una silenziosa, netta e giustificata protesta.
È tanto luminosa quella ragazza, una vera stella, quanto sono oscure le maldicenze, la parole sussurrate nell’ombra, i pettegolezzi capaci di distruggere persone e famiglie. E le contraddizioni: da una parte amori stabili e leali ma clandestini, dall’altra rapporti coniugali formali ma inesistenti, senza passione, senza speranza. Chi ha ragione? Chi ha torto? Il cuore cede alle regole e le regole sono rispettate solo apparentemente in pubblico e infrante in privato. Ma la felicità resiste nelle piccole cose, in quelle segrete. Nell’ufficialità, invece, non c’è posto per la gioia. La rispettabilità, cento anni fa, era spesso una banconota falsa.
Una Macondo siciliana
In tutto questo, nelle vicende di una sfortunata madre naturale, di una affettuosa genitrice adottiva, di uno straordinario nonno acquisito, dov’è Riccardo l’inglisi, chi è, cosa pensa? Questa è la storia di Richard Francesco, una saga plurifamiliare. È una nuova Macondo, italiana, siciliana, creata con acume penetrante da un’esperta di dinamiche comportamentali. Si arriva al 1950 e ce n’è di storia da leggere, di vite, di esperienze, di sentimenti, di modi di essere. Ma c’è anche molto fantastico, molto immaginario, molto sogno, com’è caratteristico della mente dell’uomo e delle donne, che nel romanzo non sono solo ancelle, compagne, partner. Non brillano di luce riflessa, sono autentiche colonne, sia pure in decenni di parità ancora lontana, di là da venire.
Si cerca Riccardo e si trovano Liza, Giulia, la spiazzante amatissima Violet, il ricordo della nonna, la solidità operosa delle donne della servitù e la loro antica solidarietà verso chi merita davvero rispetto. E a guadagnarlo, nelle pagine di Loredana Micati, sono quasi sempre le donne, raramente gli uomini, non ce ne voglia l’inglisi. Altri maschi, in questo lavoro, non valgono il sigaro che fumano, anzi risultano decisamente odiosi.