Salgàri suicida, non prima di aver chiuso il ciclo del Leone di Damasco
Si suicidò, spezzando la penna che gli aveva dato tanta fama ma nessun profitto. Emilio Salgàri fece harakiri. Il papà di Sandokan 6 C., uno dei più popolari scrittori d’avventura d’ogni tempo e luogo, si tagliò la pancia e la gola con un rasoio, il 25 aprile 1911, in un bosco di Torino. Aveva consegnato ben 19 romanzi, in meno di 4 anni, alle fortune della nuova casa editrice, Bemporad e una delle tre lettere lasciate era indirizzata ai suoi editori. “A voi, che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria o anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dato pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna”.
Per non fargli un ulteriore torto, va detto intanto che la pronuncia esatta del cognome veronese è Salgàri. L’accento cade sulla penultima sillaba, come ha stabilito addirittura l’Accademia della Crusca. Deriverebbe infatti dalla pianta del salice, che in veneto è chiamato salgàro.
Un paradosso, un albero “piangente” per l’autore di romanzi di piglio tosto e virile, dove se si indulge alle lacrime è per gioia, dolore sincero, buoni sentimenti e malinconie presto scosse dall’azione a rompicollo. Ma non è l’unica sorpresa di Emilio. Il padre di tanti condottieri sugli Oceani non ha mai navigato oltre Adriatico. I suoi imbarchi risalgono all’addestramento, durante gli studi al Nautico, mai completati peraltro, con l’aggiunta di una crociera dalla laguna, lungo la costa dalmata, in rotta verso Brindisi.
Viaggiava con la fantasia. Sognava tanti mondi e li faceva sognare a generazioni di lettori, soprattutto bambini e ragazzi, che dal ‘900 agli anni ‘50 e oltre hanno immaginato arrembaggi e assalti a lame sguainate, ispirati dai suoi eroi, fedeli a valori tagliati con l’accetta. Se uno era positivo, lo restava sfidando la morte. Se infido o traditore, non demordeva fino in fondo. I lettori, tuttavia, ignoravano quanto costasse scrivere, quante lacrime per Emilio, da vero salice. “Sono inchiodato al tavolo per molte ore al giorno ed alcune delle notte e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo riempire a tutto vapore cartelle su cartelle”. Era obbligato per contratto a tre libri l’anno. Tre pagine al giorno, per 365 giorni. Veri lavori forzati, compensati miseramente. La critica prendeva le distanze dalla sua scrittura popolare. Gli intellettuali lo snobbavano, la vita lo tradiva. Una famiglia segnata: prima del suo suicidio, c’era stato quello del padre, poi la malattia mentale della moglie Ida, che morirà nel 1922 in manicomio. La figlia Fatima cedette al dolore nel 1914. Dei maschi, uno si tolse la vita nel 1931, Nadir perì in un incidente stradale e l’ultimo è morto nel 1963.
Tra i titoli riediti a 150 anni dalla nascita (Verona, 1862), nell’anno salgariano, Garzanti ha proposto tra i pocket della Collana I Grandi Libri una coppia di romanzi che costituiscono una serie completa: “Capitan Tempesta. Il Leone di Damasco” (588 pag. 14,90 euro). All’esterno delle possenti mura di Famagosta, durante l’assedio turco, un cavaliere cristiano sfidava Muley-el-Kadel, indossando “un’armatura d’acciaio completa, speroni dorati alle scarpe e una cintura di seta azzurra… era un giovane bellissimo, alto, snello, di forme eleganti, con due occhi nerissimi”, denti superbi, la pelle leggermente scura “che tradiva il tipo meridionale”, la capigliatura lunga e corvina. Più che un capitano di ventura “sembrava una graziosa fanciulla”. Era una ragazza, appunto: Eleonora, contessa d’Eboli, al servizio della Serenissima per liberare il fidanzato, visconte Le Hussière, catturato alla caduta di Nicosia. Era prigioniero della nipote dell’ammiraglio ottomano, la bella e crudele Haradja, a sua volta promessa a Muley, il Leone di Damasco, ma non ricambiata da lui.
Il romanzo è del 1905. Capitan Tempesta affronta il campione. Vince e lo risparmia. I due leali avversari si incontreranno di nuovo e lei si rivelerà, chiedendo aiuto per ritrovare La Hussière. Haradja non smette di tramare, prima chiede a Eleonora di uccidere Muley, poi rovescia tutto e Gastone muore nel tentativo di fuga. Il Leone rinnega l’Islam e offre la sua spada al Tempesta.
Il Leone di Damasco, uscì cinque anni dopo. Eleonora ed El Kadel si sono sposati in chiesa, hanno un figlioletto e sono a Candia quando si rinnova l’assedio dei Turchi. Sotto gli spalti c’è anche la Tigre di Hussif, Haradja. Li provoca. Se non può nulla contro il loro valore, è invece insuperabile nei raggiri. Fa rapire il piccolo Enzo e il padre del Leone, il pascià di Damasco. Ma nei romanzi di Salgàri i giusti trionfano, dopo tanti sforzi. La flotta turca soccomberà a Lepanto. La neo famiglia cristiana continuerà a vivere unita e i lettori a sognare.