La felicità e il piacere Epicuro: una parola semplice quanto profonda La felicità e il piacere Epicuro: una parola semplice quanto profonda

La felicità e il piacere, Epicuro: potere di una parola semplice quanto profonda

La felicità e il piacere

La felicità e il piacere

Rispondere al problema della morte, la costituzione della serenità, il rapporto tra piacere e dolore, quindi la felicità. Epicuro, nell’opera La felicità e il piacere, edito da Barbera, disponibile su IBS a € 6,90, affronta e scioglie nodi essenziali che, prescindendo da ogni filosofia, premono sulle nostre esistenze. Classico come esercizio di pensiero che coniuga la dimensione teoretica con quella pratica, pilastro della cultura occidentale dalle venture levantine, espressione di un distinguo profondo tra semplicità e facilità.

Oltre la superficie delle forme Epicuro rileva come nell’uomo abitino problemi irrisolti. Ma a dispetto della complicata filosofia del novecento, La felicità e il piacere adotta una linguaggio immediato e sfuggente.

Risuonano come un eco per ore parole che sulle pagine occupano poche righe. E malgrado una ricerca del pensiero si ha come la sensazione che qualcosa continui a sfuggirci. Sorprendente è l’attualità dei temi affrontati, si rintracciano quei canali carsici da cui siamo attraversati, che la psicanalisi cercherà di rileggere: cos’è il desiderio, come si forma, il sogno e il piacere.

Leggere La felicità e il piacere è una riconquista della dimensione umana, via verso l’estraniazione da sé per un’interpretazione più lucida, distaccata. Le pagine scorrono veloci, come acqua alla bocca di un assetato. Parole che parlano però di misura, controllo, frugalità. In totale contrasto con l’idea distorta comunicata dall’uso di “epicureo” nel linguaggio comune.

Non c’è alcun edonismo, tutt’altro. Semmai una critica alla ricerca di un chimerico futuro orgiastico, che abita ogni ricerca di averi: “Siamo nati una volta sola e non ci è dato nascere due volte, ma è necessario non essere più per l’eternità. Tu invece rimandi la gioia come se fossi signore del tuo domani e non ti accorgi che in questo indugio la vita si consuma e ciascuno di noi arriva alla morte sempre indaffarato”.

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Filosofo come asceta, non soggetto “né all’ira né ai favori”, ma che conosce il piacere nell’atto del conoscere: “poiché non il piacere dopo l’apprendere, ma insieme si prestano piacere ed apprendere”. Persino la morte perde quel valore di assoluto, smitizzata: “Niente è la morte per noi: infatti ciò che si è dissolto non è più dotato di sensibilità e ciò che non è più sensibile è niente per noi”. Insomma, una bussola in tempi di tempesta segnati dallo smarrimento del significato di bellezza, giustizia e soprattutto della felicità.

Autore: Iacopo Bernardini

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