Il giardino dei silenziosi: intervista all’autore Cesare Ferrari
Cesare Ferrari, autore del romanzo Il giardino dei silenziosi (Youcanprint edizioni), vuole raccontarsi ai lettori di recensionilibri.org? Questo è il suo romanzo d’esordio?
Sono un consulente informatico in pensione. Amo leggere libri di narrativa. Prediligo il genere fantasioso e d’azione, ma non disdegno i classici. Canto nelle voci tenori della corale parrocchiale e ho una predilezione per il genere sacro d’autore (Mozart, Schubert, Bach…). La mia chiamata alla scrittura che, a ragione o torto, ho sempre represso per privilegiare i bisogni e gli affetti familiari è rimasta latente per lungo tempo. Finché la pensione, la meravigliosa pensione, mi ha dato il tempo necessario per scrivere la mia opera prima: La mia Fantastoria edita nel 2008 dalla Phasar di Firenze. Come spesso accade per i neoscrittori i contenuti dell’opera prima hanno connotati autobiografici. Anche nel mio caso ho attinto a piene mani nella storia della mia famiglia, anche se ho cercato di inventarmi vicende “forti” e volutamente romanzate. Il contesto è quello storico pre e post fascista. L’ambientazione delle vicende si alterna tra Milano ed Ispra, zone legate alla mia vita. Il Giardino dei Silenziosi è il mio secondo romanzo.
Com’è nata l’idea di questo romanzo e la trama che ne è alla base?
Come ho avuto modo di spiegare nella nota finale del mio testo, all’inizio l’unica cosa certa che avessi era il titolo. Mi aveva colpito questa definizione di cimitero maghrebino che mi aveva suggerito una graziosa accompagnatrice durante un viaggio in Marocco con un gruppo di amici. Era la definizione di un luogo solitario che faceva immediatamente pensare alla pace e, al tempo stesso, all’idea di presenze-assenze che continuavano a parlaci in un linguaggio diverso dal nostro, ma decifrabile se disposti a creare intorno a noi e dentro di noi uno spazio con le medesime caratteristiche. Poi, a poco a poco, si sono fatti chiari gli intendimenti. Doveva essere un romanzo che mettesse in luce il fascino del mistero del luogo e il linguaggio usato da queste voci silenti.
Volevo che il “Silente” fosse l’idioma dell’Unico Dio in cui credono tutte le culture monoteiste. Solo la musica, generatrice di onde assimilabili alla luce (intesa come Verità) e ricca di pause cariche di aspettativa emotiva, poteva essere il mezzo per raggiungere il mio scopo. Ecco quindi prendere forma un personaggio marocchino con un misterioso dono musicale. A questo punto avevo però bisogno di un evento storico “trainante” e molto lontano nel tempo, cui far risalire l’origine di questa “stranezza”. Mi è venuta incontro la memoria di un altro viaggio effettuato in epoca più recente in Israele. Nell’occasione mi era stato possibile visitare la fortezza di Masada e approfondire la triste fine dei suoi occupanti Zeloti stretti in assedio dai Romani. L’episodio era perfetto perché era stato storicamente certificato, ma non era stata fatta luce su molti dei suoi aspetti. Era quindi ciò che cercavo per far diventare la mia opera un condensato di verità e di fantasia, prerogativa di tutti i romanzi storici. Così ho inserito due vicende convergenti, una antica e una moderna, che si inseguono capitolo per capitolo. Ho poi cercato di dare respiro al testo aprendo ampie finestre ad alcune considerazioni personali, a descrizioni dei luoghi che ho visitato nei due viaggi di cui ho accennato, al mio passato informatico e forse… a un po’ di poesia.
Il giardino dei silenziosi indaga non solo i sentimenti e le storie individuali, ma anche l’incontro fra culture differenti. Ci sono approfondimenti in questo nel suo libro. Anche riferimenti storici? Quali sono state le sue fonti?
Ho cercato di far emergere lo sforzo del popolo marocchino nel tentativo di assomigliare al nostro continente senza perdere le proprie radici culturali. Ho ripreso il tema dei tristemente famosi viaggi della speranza via mare e il pericolo, per coloro che riescono nell’impresa di migrare seguendo questa strada, di essere coinvolti nei traffici illeciti delle nostre organizzazioni criminali. Dal punto di vista storico, rivisitando l’episodio di Masada in una chiave molto fantasiosa, ho voluto mettere in risalto le differenze tra la cultura edonistica, idolatra dell’epoca romana e la già allora affermata fede del popolo israelita nell’esistenza di un Unico Dio. Quello che nel libro prende coscienza essere lo stesso Dio di tutte le culture monoteiste, raccontato in maniera diversa dalle tre principali religioni. Per quanto riguarda le mie fonti direi che sono state le persone che hanno fatto da guida nei miei viaggi e molta, molta internet
Nel romanzo c’è anche questo rapporto misterioso della protagonista con la musica. Un impulso, per così dire innato, ma inspiegabile?
Il mio personaggio, in un certo senso, vuole rappresentare l’essenza della musica. Chi la compone la sente vibrare interiormente, ma fatica a darle corpo e quando crede di averla rappresentata si accorge che era altro rispetto all’ispirazione originale. La musica, come tutte le forme d’arte, nasce come predisposizione misteriosa, se coltivata assume forme diverse. Direi quindi che la mia protagonista non è posseduta da un impulso inspiegabile, ma da un desiderio di approfondimento della Verità (musica = luce) così assoluto da considerarsi irraggiungibile.
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