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Futilità | Francesco Fiorentino

Quali sono le futilità della vita? Il divertimento, rincorrere dei sogni non propri oppure cercare di costruire una vita regolare, abitudinaria, con piccoli lussi, un guardaroba fornito e un cospicuo fondo pensione? Nel romanzo Futilità (edito Marsilio), Francesco Fiorentino analizza varie fasi della vita: dall’evoluzione dei rapporti di coppia alla volgarità degli incontri senza nulla a pretendere, immediato o a lunga scadenza.

Ugo e Chiara sono sposati da tanti anni, ma avvertono il bisogno di trascorrere del tempo lontani dal loro ménage coniugale – lui a Parigi, lei a Firenze –, sfatando anche l’ultimo tabù coniugale, quello legato alla fedeltà sessuale. Ugo è in cerca di un nuovo amore, un ultimo brivido che possa farlo sentire ancora giovane, lui che oramai galoppa verso il traguardo – o passaggio – dei cinquant’anni. Puntualmente, ché quando uno cerca, trova, l’innamoramento arriva; e arriva a Parigi, “la Parigi di tutti, mitica e kitsch”, dove Ugo si è recato per trascorrere il suo anno sabbatico, ma anche per presentare il progetto denominato Europa dei salotti, incentrato sui salottini europei dal XVIII al XX secolo, e per scrivere un’ambiziosa opera sulle annunciazioni. Lei, il nuovo innamoramento dopo anni di matrimonio, è una ragazza molto più giovane di Ugo, una studentessa di venticinque anni che scoppia di salute. La ha conosciuta per caso, grazie a un amico che gli ha chiesto il favore di andare a parlare con lei per accertarsi del suo amore. Innamorarsi di una ragazza giovanissima, la metà dei tuoi anni, della quale, per giunta, è innamorato un tuo fidato amico: doppio cliché della vita, come andare in settimana bianca e invaghirsi del maestro di sci. Con Sofia, questo il nome della pulzella, gli incontri si succederanno e Ugo assisterà al rinnovamento di un erotismo che pareva aver perduto; la ragazza sarà anche un modo per ritrovare gli ideali giovanili traditi e tentare, inutilmente, a correggere alcune azioni del passato e a riacciuffare ciò che è non più riacciuffabile: vale a dire la gioventù. Ugo e Chiara, passeggiano per le strade dello shopping di Parigi, lui sente negli occhi dei passanti tutta “l’invidia che circonda chi sta con donne giovani e belle”, di quel tipo di donna che non bada neppure ai cibi che ingerisce e alla irregolarità dei suoi pasti; e perché? Perché è giovane. Lei. Il protagonista si crogiola di ciò, gioca a fare la coppietta spensierata e con tutta la vita davanti, confessa alla ragazza appena conosciuta il suo amore, le racconta del suo matrimonio in crisi, risultando banale e squallido agli occhi sempre più moralisti, pagina dopo pagina, errore dopo errore, del lettore. La banalità del rapporto tra i due è palese, l’autore la mostra in tutta la sua trivialità, facendoci apparire dei bacchettoni specie quando ci ritroviamo nei panni di Ugo, al termine della foga dei suoi amplessi con Sofia, quando si ritrova dinanzi alla freschezza della studentella, a quell’intensità della pelle, alle curve generose che sfidano le leggi della gravità, “alla fragranza di giovinezza” cui risponde con la vergogna della sua pinguedine e dei suoi muscoli appassiti. È l’oscenità del sesso tra persone di età diversa, tra persone appartenenti a due mondi differenti. “Lo sa che è stupido. Ma, indipendentemente dall’età che si ha, si è innamorati sempre alla stessa maniera, quella dei sedici anni.” Il lettore però è più furbo e, come spesso accade nei romanzi, si trova sempre un passo avanti rispetto al protagonista della storia che è intento a leggere. Sa che Ugo è un pusillanime, che finge di essere uno di quei tipi liberi, refrattari ai legami duraturi, di quei tipi “che non vanno con disinvoltura in coppia nel mondo”; il lettore sa che il nuovo rapporto, ora così elettrizzante, muterà presto per livellarsi a ogni altro. Il lettore sa, soprattutto, che Ugo si sentirà in colpa per aver abbandonato la donna che lo ama e non potrà far altro che provare a ritornare alle sue antiche abitudini, a quelle futilità delle quali si suole sogghignare, prima di una certa età, alla sua Chiara, alla sua legittima consorte. A bussare, nuovamente, alla porta di quella che è casa. Delle volte, però, quella porta non si schiude più e il mendicante si ritrova irrimediabilmente sbandato, vittima di se stesso. “Certo, quel che sta rimpiangendo sono sentimenti tiepidi, routine, minuscoli lussi, esigui lasciti del tempo che passa. Nulla di più che futilità. Ma fuori da questi esili ripari c’è solo l’ansia di riempire, stordendosi, il deserto dell’ultima attesa. Possibile tornare indietro in qualche modo a questa futilità?” In questo lavoro, lineare ma complicato, in cui l’autore non nasconde l’amore verso la letteratura francese citando qua e là Balzac, Sartre, Proust, Francesco Fiorentino rivela senza peli sulla lingua la vacuità di gran parte delle azioni che compiamo nella vita, che ci distolgono dal fine ultimo e principale che dovrebbe essere la ricerca – e poi la custodia – de Le Grand Amour.Ugo e Chiara sono sposati da tanti anni, ma avvertono il bisogno di trascorrere del tempo lontani dal loro ménage coniugale – lui a Parigi, lei a Firenze –, sfatando anche l’ultimo tabù coniugale, quello legato alla fedeltà sessuale.

Ugo è in cerca di un nuovo amore, un ultimo brivido che possa farlo sentire ancora giovane, lui che oramai galoppa verso il traguardo – o passaggio – dei cinquant’anni. Puntualmente, ché quando uno cerca, trova, l’innamoramento arriva; e arriva a Parigi, “la Parigi di tutti, mitica e kitsch”, dove Ugo si è recato per trascorrere il suo anno sabbatico, ma anche per presentare il progetto denominato Europa dei salotti, incentrato sui salottini europei dal XVIII al XX secolo, e per scrivere un’ambiziosa opera sulle annunciazioni.

Lei, il nuovo infatuamento dopo anni di matrimonio, è una ragazza molto più giovane di Ugo, una studentessa di venticinque anni che scoppia di salute. La ha conosciuta per caso, grazie a un amico che gli ha chiesto il favore di andare a parlare con lei per accertarsi del suo amore. Innamorarsi di una ragazza giovanissima, la metà dei tuoi anni, della quale, per giunta, è innamorato un tuo fidato amico: doppio cliché della vita, come andare in settimana bianca e invaghirsi del maestro di sci.

Con Sofia, questo il nome della pulzella, gli incontri si succederanno e Ugo assisterà al rinnovamento di un erotismo che pareva aver perduto; la ragazza sarà anche un modo per ritrovare gli ideali giovanili traditi e tentare, inutilmente, a correggere alcune azioni del passato e a riacciuffare ciò che è non più riacciuffabile: vale a dire la gioventù.

Ugo e Sofia passeggiano per le strade dello shopping di Parigi, lui sente negli occhi dei passanti tutta “l’invidia che circonda chi sta con donne giovani e belle”, di quel tipo di donna che non bada neppure ai cibi che ingerisce e alla irregolarità dei suoi pasti; e perché? Perché è giovane. Lei. Il protagonista si crogiola di ciò, delle virtù altrui, gioca a fare la coppietta spensierata e con tutta la vita davanti, confessa alla ragazza appena conosciuta il suo amore, le racconta del suo matrimonio in crisi, risultando banale e squallido agli occhi sempre più moralisti, pagina dopo pagina, errore dopo errore, del lettore.

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La banalità del rapporto tra i due è palese, l’autore la mostra in tutta la sua trivialità, facendoci apparire dei bacchettoni specie quando ci ritroviamo nei panni di Ugo, al termine della foga dei suoi amplessi con Sofia, quando si ritrova dinanzi alla freschezza della studentella, a quell’intensità della pelle, alle curve generose che sfidano le leggi della gravità, “alla fragranza di giovinezza” cui risponde con la vergogna della sua pinguedine e dei suoi muscoli appassiti. È l’oscenità del sesso tra persone di età diversa; non solo, tra persone appartenenti a due mondi differenti.

“Lo sa che è stupido. Ma, indipendentemente dall’età che si ha, si è innamorati sempre alla stessa maniera, quella dei sedici anni.”

Il lettore però è più furbo e, come spesso accade nei romanzi, si trova sempre un passo avanti rispetto al protagonista della storia che è intento a leggere.

Sa che Ugo è un pusillanime, che finge di essere uno di quei tipi liberi, refrattari ai legami duraturi, di quei tipi “che non vanno con disinvoltura in coppia nel mondo”; il lettore sa che il nuovo rapporto, ora così elettrizzante, muterà presto per livellarsi a ogni altro. Il lettore sa, soprattutto, che Ugo si sentirà in colpa per aver abbandonato la donna che lo ama e non potrà far altro che provare a ritornare alle sue antiche abitudini, a quelle futilità delle quali si suole sogghignare, prima di una certa età, alla sua Chiara, alla sua legittima consorte. A bussare, nuovamente, alla porta di quella che è casa. Delle volte, però, quella porta non si schiude più e il mendicante si ritrova irrimediabilmente sbandato, vittima di se stesso.

“Certo, quel che sta rimpiangendo sono sentimenti tiepidi, routine, minuscoli lussi, esigui lasciti del tempo che passa. Nulla di più che futilità. Ma fuori da questi esili ripari c’è solo l’ansia di riempire, stordendosi, il deserto dell’ultima attesa. Possibile tornare indietro in qualche modo a questa futilità?”

In questo lavoro, lineare ma complicato, in cui l’autore non nasconde l’amore verso la letteratura francese citando qua e là Balzac, Sartre, Proust, Francesco Fiorentino rivela senza peli sulla lingua la vacuità di gran parte delle azioni che compiamo nella vita, che ci distolgono dal fine ultimo e principale che dovrebbe essere la ricerca – e poi la custodia – de Le Grand Amour.

Autore: Redazione Leggere Libri

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