La fattoria degli animali | George Orwell
“Bestie d’Inghilterra e dell’Irlanda,
bestie di ogni clima e di ogni landa,
ascoltate la lieta novella
di un’età futura e bella.”
Questo 2021 è l’anno in cui sono scaduti i diritti sull’intera opera di George Orwell e Marsilio, nella sua collana “Letteratura universale”, pubblica l’essenziale La fattoria degli animali dello scrittore britannico nato nel 1903 in India, al tempo territorio del Regno Unito, e morto nel 1950 a Londra.
La fattoria degli animali, pubblicato per la prima volta nell’agosto del 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, precede il lavoro più famoso di Orwell, quel 1984, scritto nel 1948 e edito l’anno successivo, che rappresenta il capolavoro conclusivo dell’autore e che ha ispirato nel corso dei decenni a seguire una moltitudine di opere letterarie e cinematografiche.
Allegoria delle dittature che hanno caratterizzato il Novecento, La fattoria degli animali è un romanzo breve dalla gestazione altrettanto celere (scritto in appena tre mesi a cavallo tra il ’43 e il ‘44) che si apre con l’ascesa, nella fattoria del signor Jones, del Vecchio Maggiore, un maiale adulto, padre di ben quattrocento porcellini, dall’espressione saggia e benevola che, tre giorni prima di spirare, si pone a capo della fattoria ribelle contro la follia degli uomini.
“L’Uomo è il nostro vero e unico nemico”, asserisce convinto il Vecchio Maggiore, mettendo in evidenza tutti gli aspetti della vita miseranda che gli animali della fattoria conducono, dalla venuta al mondo all’inevitabile macellazione, e i privilegi dei quali, invece, gode l’uomo, questo strano essere superiore che, stando eretto su due zampe, consuma senza produrre nulla: “non dà latte, non depone uova, è troppo debole per spingere l’aratro, non è veloce a sufficienza per acchiappare i conigli”.
Bisogna perciò ribellarsi alla sua dittatura ed eliminarlo, per conquistare la propria santa libera, il proprio “spazio vitale” – espressione quanto mai azzeccata –, tenendo a mente, però, che in questa lotta gli animali non dovranno mai tentare di somigliare al proprio aguzzino e seguirne le abominevoli abitudini di tirannia contro il più debole.
“Nessun animale dovrà mai uccidere un altro animale. Tutti gli animali sono uguali.”
Il governo dei maiali, la prima fase della Repubblica degli Animali che, con uno zoccolo e un corno sulla bandiera, secondo i suidi dovrà inevitabilmente nascere, comincia il suo lavoro: si dà da fare per scrivere una costituzione animalista e mette in piedi comitati e classi per imparare a leggere e scrivere.
Pian piano, però, grazie alla supremazia intellettuale dei maiali rispetto alle capre, agli asini e alle galline, questi inizieranno a comandare sugli altri “compagni” e l’idea del padre della rivoluzione, il Vecchio Maggiore, si rivelerà per quello che è: una misera utopia. Una rivoluzione impossibile.
Nella fattoria inizia una rapida escalation di azioni che riportano alla mente i folli piani quinquennali di Stalin, le sue manie di persecuzione, la necessità di creare capri espiatori e sviluppare il terrore e la devozione nel popolo ignorante. Il processo tipico del buon dittatore che porrà presto fine all’illusione animalsocialista.
“Non dovete pensare, compagni, che comandare sia un piacere! […] Il Compagno Napoleone (il nuovo capo dopo la morte del Vecchio Maggiore ndr) sarebbe ben lieto di farvi decidere da soli ma vi potrebbe anche capitare di prendere le decisioni sbagliate. E allora che cosa succederebbe?”
Il romanzo di George Orwell – tradotto da Stefano Manferlotti, con testo inglese a fronte – si conferma una lettura imprescindibile per comprendere il secolo che ci siamo lasciati alle spalle, ma anche e soprattutto il presente che troppo spesso, siccome la storia non insegna mai nulla, si rifà ai vecchi modelli che, come le mode, spingono per riproporsi.
E ricordiamoci, unendoci alla cantilena finale delle simpatiche pecorelle della fattoria, che “quattro gambe buono, due gambe meglio”.