Intervista a Imelda Zeqiri, autrice de “Il vestito rosso” e “Girasoli d’Oriente”
Il vestito rosso (edito nel 2019) e Girasoli d’Oriente (edito nel 2020) sono i titoli dei due romanzi pubblicati dall’autrice Imelda Zeqiri, classe ’86, fondatrice e presidente dell’associazione “Buongiorno Firenze” e appassionata di arti e giornalismo. I suoi romanzi sono pubblicati da Enigma edizioni, casa editrice fiorentina, e acquistabili in ogni libreria e nei principali negozi online. Quali sono i temi principali che uniscono le sue due opere?
Entrambi i romanzi analizzano le relazioni tra partner e nello specifico tra la protagonista Jane e il mondo di maschere che la circonda. In fase di stesura dei due lavori ho cercato di far emergere quelle che sono le tematiche che più mi stanno a cuore ed ecco che si snodano argomenti di forte valore sociale quali le dinamiche familiari, il fenomeno del ghosting e del gaslighting, la violenza fisica, le differenze culturali e spirituali tra Occidente e Oriente, l’omofobia, il razzismo, l’aborto e molto altro ancora. Intorno al tema del femminile c’è un mondo da scoprire e io ho voluto aprire una finestra su questo macrospazio che è contenuto nel corpo, mente e cuore della donna.
Entriamo un po’ nel particolare di ciascuna opera: in Girasoli d’Oriente, la sua ultima creatura, lei tratta un tema storico nella letteratura come nella saggistica e di strettissima attualità: quello delle generazioni a confronto. Qual è la lettura che ne dà nel suo romanzo?
Siamo figli di genitori che prima di essere tali si sono confrontati con la società che imponeva loro di seguire determinate regole e se uscivano dagli schemi provavano un certo senso di frustrazione per non avere dato una continuità alle tradizioni, tanto care al mondo occidentale quanto a quello orientale. Con il susseguirsi di quello che definiamo “modernismo” tanti ponti con il passato sono crollati e grazie agli slogan del tipo “Make it new” alla Ezra Pound, è avvenuta quella grande trasformazione culturale che ironizza a volte sulle tradizioni sociali e letterarie. Questo pensiero progressista viene analizzato in Girasoli d’Oriente contrapponendolo a quelli che sono, ancora oggi, i legami con la cultura della terra orientale, nello specifico quella indiana. Le generazioni a confronto sono un altro macro tema affrontato tra i capitoli di questi miei due romanzi cercando di definire le tipologie di amore che si instaurano tra padri/madri e figli.
Gaslighting, un termine che io sinceramente non conoscevo e che è una delle tematiche affrontate in Girasoli d’Oriente. Ci spiega cosa è e lo spazio che trova nel suo lavoro?
Nel 2021 siamo oramai dipendenti da qualcosa o qualcuno e difficilmente riusciamo a vivere una vita completamente distaccata dalla realtà che ci circonda. Gli strumenti che ci impediscono di stare nella libertà sono infiniti e uno di questi può essere la manipolazione psicologica. Qualsiasi cosa che ci circonda vuole modellare i nostri pensieri, ma se a farlo è qualcuno a noi molto vicino, allora dobbiamo cercare di comprendere se si tratta della condivisione di un pensiero oppure dell’imposizione di un punto di vista che vuole essere un processo maligno e consapevole di violenza sulla vittima. Il gaslighting, o machiavellismo patologico, è un ricatto emotivo che vuole minacciare l’autonomia e la stabilità mentale della persona che sta accanto al narcisista patologico. Il gaslighter desidera isolare la sua preda in modo da potersi nutrire della sua debolezza e in Girasoli d’Oriente questo ruolo di manipolatrice seriale viene dato in mano alla sorella della protagonista, una giovane donna incapace di relazionarsi positivamente con Jane.
Il suo ultimo romanzo è ambientato in varie parti del mondo: si passa dall’India alla Andalusia, sostando chiaramente a Firenze, la sua città. Come riesce a conciliare tra le pagine del libro queste realtà apparentemente così differenti tra di loro?
Firenze è conosciuta in tutto il mondo come la culla del Rinascimento, uno spazio fisico dove si sviluppò il rinnovamento culturale, non solo artisticamente, ma anche e soprattutto in funzione alla percezione dell’uomo e del mondo. Questa trilogia (manca quindi la terza e ultima parte di questa lunga storia) poteva iniziare solo da questa città, fucina della competitività, ricchezza, vita attiva, pragmatismo e nuova concezione della vita, quello spazio definito all’interno del quale si sviluppano trame e drammi della vita di Jane. Questa donna, dalle radici occidentali, prova a fuggire dal mondo che la limita e crede di poter rinascere in un ambiente considerato come il gioiello dal fascino orientale, ma nemmeno Siviglia riesce a dissetarla. L’uomo che si presenta nel suo percorso arriva da più lontano ed ecco che emerge quel forte desiderio di attraversare uno spazio divino e terreno dove si incontrano sacro e profano, vita e morte, il grigio della cenere che i sadhu utilizzavano per coprire l’intero corpo e i colori delle vesti di tutte le donne indiane che circolavano nella fiumana di persone. Jane ci accompagna per mano in un mondo a noi poco conosciuto, tenendo presente di non vivere nel giudizio e che quella fosse la regola principale per esplorare i codici sociali delle popolazioni che abitavano la terra.
Ne Il vestito rosso lei analizza molti dei temi più accesi della nostra attualità; tra questi quelli della omosessualità, della violenza e delle migrazioni. In che modo è capace il narratore a far coesistere in una sola opera argomenti talmente potenti e allo stesso tempo delicati senza che un tema possa prendere il sopravvento sull’altro?
Credo che questi siano temi che hanno sempre toccato in maniera forte la nostra sensibilità e in questo delicato periodo storico, le persone definite “fragili”, hanno bisogno di più strumenti di protezione. Basti pensare a ciò che è successo durante la Seconda guerra mondiale, un periodo talmente vicino a noi che sembra quasi incredibile che possa essere accaduto eppure forme di omofobia, razzismo e violenza sono all’ordine del giorno. I social network sono diventati le piazze pubbliche dove ognuno può esprimere il proprio dissenso senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie frustrazioni scaricate sugli altri. Sono temi che si possono legare tra di loro e Jane riesce, a suo modo, a far riflettere il lettore inserendo alcuni spunti di riflessione su quanto sia fragile la mente dell’essere umano e quale tipo di sopravvento può prendere se non viene gestita nel migliore dei modi.
Lei sostiene che ogni viaggio, reale o virtuale che sia, inizia sempre con un punto di partenza, senza possibilità alcuna di conoscere la meta. In un periodo storico come quello che stiamo traversando, in cui il viaggio non può essere inteso come qualcosa di tangibile, quale accezione trova, in Imelda Zeqiri donna, questo concetto?
Io credo di potermi definire una viaggiatrice cosmica o forse sto esagerando peccando di solipsismo (rido…), ma se potessi prenderei sempre una borsa e andrei in giro per il mondo a conoscere nuove tradizioni, culture, lingue, odori, sapori e tutto ciò che ha a che fare con l’umanità. Non potendo farlo, allora dedico questo tempo a disposizione all’esplorazione interiore, uno spazio infinito dove si nascondono le fragilità e le abilità, le insicurezze e i punti di forza. In quanto donna, ho l’obbligo di prendermi cura di me e di ciò che mi fa stare bene e credo che questo debba essere l’elemento fondamentale intorno al quale dovrebbe ruotare la vita di ognuno. Avendo tanti limiti imposti da una pandemia in corso, possiamo trarre beneficio dall’uso della rete e fare finalmente quel corso che veniva erogato a migliaia di chilometri di distanza e che ora può essere seguito online. Un esempio semplice, ma credo efficace.
Ne suoi romanzi analizza le differenze culturali e financo spirituali che sussistono tra Oriente e Occidente. Qual è il limite che fa sì che non ci possa ancora essere questa piena consapevolezza e riconoscimento dell’altro nel popolo occidentale verso quello orientale e viceversa?
Credo fortemente che le differenze siano una grande ricchezza, ma spesso questo messaggio assume un connotato politico sul quale nascono e si costruiscono grandi muri che limitano il dare e ricevere da entrambe le parti. L’altro, l’Étranger esistenzialista di Camus, è un insieme di storie, emozioni, tradizioni che nessuno può giudicare con il proprio metro di paragone perché siamo figli della stessa terra, ma vediamo la pellicola della nostra vita da angolazioni diverse e ognuno ha la propria visione della realtà, differente, ma pur sempre vera. Con questo non voglio generalizzare affermando che ognuno è libero di fare ciò che vuole ledendo i bisogni e gli spazi dell’altro, ma che solo cercando di capire ciò che prova chi è diverso da noi, possiamo entrare in empatia e donare una parte di quel mondo infinito che custodiamo dentro perché la Terra è di tutti, ma ognuno di noi ha voluto delimitarla con i confini, creando di conseguenza le separazioni tra Oriente e Occidente, tra futuro e passato e tra progresso e involuzione.
Lei è specializzata in Lingue e Letterature Europee e Americane presso l’Università degli Studi di Firenze. Come mai ha voluto scrivere due romanzi che non sono perfettamente aderenti con il suo percorso di studi?
La formazione umanistica mi ha dato il privilegio di approfondire la conoscenza cosiddetta dell’uomo occidentale con un focus sulle lingue e letterature della parte del globo nella quale viviamo senza tralasciare gli aspetti spirituali e comportamentali. Durante questi anni formativi, fondamentali nella costruzione di un mio pensiero, sono riuscita a individuare una serie di strumenti analitici e critici che mi hanno permesso di fare un’indagine approfondita dell’animo umano e ogni artista con il quale sono entrata in contatto, leggendo o ammirando le opere realizzate, mi ha nutrito con la sua storia e le vicissitudini che lo hanno portato a lasciare ai posteri una traccia di sé. Direi pertanto che queste opere siano decisamente attinenti con il mio percorso di studi.
“Il girasole piega a occidente e già precipita il giorno nel suo occhio in rovina.” Questa è una frase di Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura nel ’59, che cita in Girasoli d’Oriente. A quali autori si ispira maggiormente Imelda Zeqiri?
Ho avuto l’opportunità di incontrare, seppur in diversi gradi di astrazione, i più grandi artisti della letteratura a partire da Shakespeare sul quale mi sono soffermata durante gli studi della laurea triennale fino ai poeti e scrittori del teatro del Seicento inglese e spagnolo che ho approfondito nella tesi magistrale. Se dovessi proprio fare una lista di coloro che mi hanno accompagnata in questo percorso citerei senza dubbio Platone, Omero, Cicerone, Alighieri, Cervantes, Austen, Joyce, Orwell, Tolstoj, Chomsky, Freud, Levi, Eco, Pirandello, Kālidāsa e molti altri ancora…