Jack London: retorico ma rivoluzionario, e viceversa
Mattioli 1885, dopo una biografia censoria, stampa il pensiero socialista dello scrittore americano ed è Rivoluzione.
Con l’esclusione di John Reed, autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo, splendido reportage sull’Ottobre rosso, elogiato e consigliato agli operai niente meno che da Lenin, l’unico scrittore rivoluzionario uscito dal conformismo politico statunitense è senza alcun dubbio Jack London. E se Reed ricevette il plauso incondizionato del capo bolscevico, il distopico Tallore di ferro potette godere dell’elogio di Trockij.
London, conosciuto dal grande pubblico e ahimè anche da vasta parte della critica, solo per la manciata dei soliti romanzi, non si fermò a quel solo saggio della sua fede politica – cui fa da paredra Il popolo dell’abisso, altro reportage, questa volta sul proletariato dell’East End – e nel 1909 dà alle stampe una robusta raccolta di scritti vari – composti da riflessioni, esperienze personali e un racconto fantapolitico – sotto il titolo Rivoluzione. Sono pagine di feroce entusiasmo e di fede e speranza in una liberazione dell’umanità dal giogo del capitale e della classe borghese. Le ha riproposte di recente Mattioli 1885 per la cura di Davide Sapienza, cui si potrebbe accostare per completezza, sempre dello stesso editore, la biografia firmata da Daniel Dyer, ornata di stupende immagine fuori testo, che tende però ad affogare il côté politico dello scrittore.
Purtroppo il socialismo di London – che tale rimase, senza mai pronunciare la terribile parola: comunismo – ha tutto il sapore d’oltreoceano, là dove oltre un certo segno nel radicalismo non ci si può spingere, come d’altra parte dimostrano le vicende del Partito comunista americano, dalla sua nascita nel 1919 sino ad oggi.
London era figlio della sua epoca ma soprattutto della sua terra: quantunque affascinato dalla possibilità che in Europa si stagliava grazie al movimento operaio, egli si sentì pressoché costantemente in dovere di annettere all’ideale socialista quello definibile anarco-individualista, di lontane mosse stirneriane; un altro modo per dire individualismo e, in fondo, superomismo. Egli fu sempre e sempre di più un solitario e tutta la sua letteratura ritrae figure isolate, che in un modo o in un altro vogliono dare l’assalto al mondo – o soccombervi.
Ho inoltre sempre avuto l’impressione, davanti a una pagina di London, di freddezza, quando non di artificio e ostentazione di pensieri estranei al profondo sentire, e inoltre un’esaltazione costruita, e ciò benché la biografia dello scrittore parli di un uomo sinceramente disposto a rischiare la vita e mettersi in gioco per esplorare del mondo il maggior numero possibile di anfratti, fossero pure i più foschi. Ma, appunto, quanto ciò fosse solo arte e non altrettanto e soprattutto vita è un problema cui non vorremmo mai dare la soluzione.
Certe pagine londoniane procurano una vertigine di perplessità, che si tramuta ben presto in distacco, quando non in distanza. E distanza, materiale e morale, sento promanare da London là dove egli inizia a elevarsi un passo da terra, cimentandosi con inutili viaggi stellari (in quegli anni prodromi letterari delle venture ridicole guerre stellari) e vieppiù in proclami politici esaltati. Si può – si deve – essere vicini, vicinissimi a London qui, quando si fa propagandista e cronista insieme: «Negli Stati Uniti 80.000 bambini sgobbano e si sudano di che vivere solo nell’industria tessile. Nel sud, lavorano facendo turni di dodici ore. Non vedono mai la luce del giorno. Quando il sole riversa vita e calore sul mondo, quelli del turno di notte dormono. Quelli del turno di notte sono già davanti ai telai prima dell’alba e tornano nelle proprie miserabili tane chiamate “case” una volta sceso il buio. Molti non ricevono più di dieci centesimi al giorno. Quelli che lavorano nel turno di notte spesso vengono tenuti svegli a secchiate d’acqua fredda in faccia. Ci sono bambini di sei anni che hanno già accumulato undici mesi di lavoro durante il turno di notte. Quando si ammalano e non riescono ad alzarsi dal letto per andare al lavoro, ci sono appositi agenti a cavallo che passano di casa in casa per blandirli e intimidirli affinché si alzino dal letto e vadano a lavorare. Il dieci per cento di questi bambini contrae una tubercolosi conclamata. Sono tutti piccoli relitti storpi, ritardati nel corpo e nella mente». Oppure qui: «4.500.000 d’individui, con il supporto dei macchinari, riescono a raccogliere un prodotto che richiederebbe il lavoro di 40.000.000 di individui se fosse eseguito manualmente. Il professor Herzog, un austriaco, afferma che 5.000.000 d’individui con le macchine di oggi, se impiegate il lavori socialmente utili, sarebbero in grado di assicurare ogni genere di prima necessità a una popolazione di 20.000.000 di persone, oltre a qualche piccolo lusso, lavorando un’ora e mezza al giorno. Stando così le cose… perché allora milioni di uomini d’oggi vivono più miseramente di come vivessero i cavernicoli? È questa la domanda che ogni rivoluzionario pone alla classe che gestisce tutto, la classe capitalista» (sebbene molte altre sarebbero e sono le domande). Identicamente valga il discorso quando si scaglia contro una particolare categoria di produttori di ideologia, i giornalisti: «Vengono enunciate con gravità e saggezza vecchie proposizioni sulla “spartizione” e sull’idea che “gli uomini non sono nati liberi e uguali”, come se fossero novità assolute appena forgiate dalla saggezza umana. I loro flebili enunciati dimostrano una comprensione scolastica della natura della rivoluzione: parassiti essi stessi della classe capitalista, ne sono i servitori dediti a modellare l’opinione pubblica. Anche loro si ammassano ingordi attorno alle arnie traboccanti di miele» (pur ci sarebbe da opinare su almeno un passaggio, ma transeat). Per nulla invece London è ascoltabile quando parla di «Fratellanza degli Uomini» oppure afferma la sostanziale identità tra propaganda rivoluzionaria e «propaganda religiosa, portata avanti con lo stesso fervore di San Paolo e Gesù Cristo» (passaggi tutti dell’articolo che dà il titolo alla raccolta).
Assai più efficace è il racconto Goliah. Un misterioso individuo decide di porre fine al disastro mondiale creato dal capitalismo e lo fa con il solo mezzo possibile: la critica delle armi. Ma qui forse più che altrove London mostra tutta la sua ingenuità e affettazione, indice di una conoscenza debole dei principi socialisti cui London fa mostra di sentirsi più che affine. E dire che, a quanto pare e come la critica tende a mascherare, qualcosa di Marx aveva pur letto.
Essendo indubbiamente London un uomo intenzionato a vivere pienamente la vita e il tempo suo, ritengo sia normale aver prestato orecchi e penna alla principale ondata vitale che attraversò l’Occidente (in una parte più e assai meno altrove) in quel torno di tempo a cavallo dei due scorsi secoli, e ammirazione gli si deve vieppiù sapendo quanto la maggioranza degli scrittori non se ne avvide o piuttosto se ne allontanò disgustata avversandone addirittura le istanze. Ma qualcosa di stridente nella foga con cui London assorbe l’ideale sempre aleggia.
Se vogliamo parlare di letteratura socialista, allora la mente corre subito a Émile Zola. C’è qui molto più socialismo (Germinal), molta più vigorosa e accurata, e talora spietata, critica alla società borghese (Al Paradiso delle Signore, Il denaro, La preda), non meno che alla suburra proletaria (L’Assommoir), che non nelle pagine espressamente socialiste di Jack London.
Tuttavia davanti a un mondo sordo e cieco al disastro morale e sociale del proletariato mondiale, davanti alla società borghese in lenta ma inesorabile putrefazione sin da quel dì, Rivoluzione, insieme agli altri due libri citati, si sarebbe detto un tempo, dovrebbe esser reso obbligatorio nelle scuole e presentato in generale ai più giovani, esattamente come Zanna Bianca o Il richiamo della foresta.
Gli scritti socialisti londoniani cadono come una corroborante aria nuova e fresca nella stantia stanza della letteratura odierna, frutto marcescente più di allora della trionfante ideologia dominante. Sicché un retorico eppur sdegnato richiamo alla rivoluzione non perde mai la sua profonda necessità.