Nelle braccia del carnefice | Francesca Scamarcio
Romanzo attualissimo, il cui argomento è sulle pagine dei giornali quasi quotidianamente.
La violenza sulle donne c’è sempre stata, ma oggi, grazie ai media , alla comunicazione globale e alla sensibilizzazione di massa si vede la punta di un iceberg sommerso da millenni di ignoranza, di paure, di abitudine e di spaventosa “ normalità”.
Ecco: normalità ! la parola chiave del romanzo. La normalità delle parole, dei gesti, delle ingiurie e dei maltrattamenti che di “normale” hanno solo il logico meccanismo colpa-punizione. Ma quale colpa?
La coppia è un gioco di ruoli che può avere del diabolico quando i protagonisti non sono più due complici , due compagni di avventura, ma diventano predatore e preda , carnefice e vittima.
Il romanzo mette a nudo i meccanismi psicologici che definiscono tali ruoli, radicati nell’inconscio e prodotti dalle dinamiche familiari.
Spiazzanti sono alcune osservazioni , tanto banali quanto sorprendenti. Quante volte nelle crisi di coppia si parla del cinquanta per cento delle responsabilità di entrambe le parti? Una verità assoluta , banalissima a pensarci , ma dal banale all’aberrante è un attimo:
“Quel concetto del cinquanta per cento l’ho trasformato in una specie di dogma, l’ho ricordato persino quella volta che Michele mi diede una ginocchiata alla gamba destra … L’ultima cosa che vidi furono le due valige a terra, poi si fece tutto buio perché affondai con la faccia sul letto … All’improvviso sentii affiorare quel dogma. Lo riconobbi all’istante il mio cinquanta per cento, suonava come un conforto, una specie di litania ancestrale che incollava tutti i miei frammenti sparsi sul materasso. Mi ci aggrappai come una corda e cominciai ad avvolgerci intorno le parole di Michele, quelle che mi stava sussurrando in un orecchio per convincermi già a fare pace.”
Strumentalizzare anche inconsapevolmente la normalità è la vera violenza.
La protagonista, Daniela, subisce la violenza come dovuta espiazione di colpe vere o presunte, ma che sicuramente non giustificano ingiurie, calci e tutto ciò che ne consegue e l’uomo, che gioca il ruolo del cattivo, è vittima a sua volta di altri scompensi psicologici che limitano il suo essere “uomo”.
Il romanzo denuncia la violenza sulle donne, ma da un punto di vista molto ampio, denuncia la fragilità emotiva dell’individuo.
Di base possiede un taglio femminista, ma non tralascia di additare la debolezza e l’immaturità di quelle donne che accettano violenza e sottomissione per macabro piacere, spesso attribuendoli alla gelosia e quindi al “vero amore”, per orgoglioso vittimismo o addirittura per superbia vivendo il tutto come una sfida, come un braccio di ferro.
L’autrice non offre soluzioni, piuttosto tenta delle diagnosi, perché le prime sono esclusivo appannaggio delle vittime: si può tentare di sondare le motivazioni di taluni comportamenti morbosi e offrire delle risposte, ma la decisione ultima di sottrarsi al carnefice, ma ancor di più alle proprie stesse trappole, spetta solo alla vittima.
Il percorso di Daniela è un processo tortuoso di affrancamento, proiettato alla maturità psicologica. Trovare l’uomo giusto non è il fine ultimo, piuttosto lo è trovare il proprio equilibrio, possedere, finalmente, e controllare la propria personalità, avere chiari i confini della propria emotività e soprattutto delle proprie debolezze.
Il romanzo segue la protagonista anche nel difficile contatto con la burocrazia e con gli enti preposti alla tutela delle donne. A volte protettivi, a volte distanti … ma la differenza è fatta sempre e solo dai singoli individui; inoltre niente è possibile se le vittime non decidono di salvarsi.
Francesca Scamarcio è una appassionata di psicologia, specialmente per quello che concerne le dinamiche familiari e di coppia. La sua scrittura è molto intima, confidenziale; riesce a manifestare la frammentarietà della psiche, le spaccature della coscienza. Tra le righe dipinge scorci di Napoli, angoli di mare tra i vicoli grondanti storie autentiche, cari a chi scrive e che entrano nel cuore di chi legge. Ogni cosa brilla di una vita antica agli occhi di Daniela che soppesa col cuore pesante e la mente in affanno.
Un romanzo scritto con passione, passione di chi la violenza di genere l’ha scovata negli occhi delle amiche, gli stessi occhi che hanno pianto prima per il dolore e l’umiliazione e subito dopo per la nostalgia di un amore malato e mortificante, in continuo bilico tra la fuga e la bramosia di soffocare “tra le braccia del carnefice”.