L’uomo di Selo e altre solitudini balcaniche | Damiano Gallinaro
La trama
L’uomo di Selo e altre solitudini balcaniche di Damiano Gallinaro è una silloge di racconti, che ha come protagonista l’ex Jugoslavia, il suo mondo, le sorti dei migranti, ma anche la guerra, l’amore e la vita stessa. I temi principali del libro sono i Balcani naturalmente, nonché la solitudine e l’importanza dei legami.
“I Balcani sono da sempre il mio oggetto del desiderio e il luogo da cui prendo spunto per la narrazione di contesti altri, questo perché nei Balcani può succedere tutto e il contrario di tutto, e niente è veramente come sembra. Sono per me dei luoghi magici, i villaggi balcanici, dove può accadere di tutto, come avviene ad esempio nel racconto L’Uomo di Selo o in Aspettando l’Alba a Banja Luka” ci dice l’autore di questa raccolta che ha una particolarità, in quanto si apre e si chiude con il medesimo racconto “L’uomo di Selo” che nella sua prima versione all’interno della silloge è stato riveduto e corretto per adattarlo ai parametri di un concorso; nella seconda, a chiusura dell’opera, consta di una premessa molto poetica e toccante, nella quale il Fiume e la Terra, dotati di un’anima, partecipano alle vicende stesse degli umani. Si tratta di vicende di sangue e di morte che rimarcano il contrasto fra la bellezza e l’armonia della natura e l’orrore del conflitto.
Un’opera profonda, balcanica, complessa, che ruota attorno al concetto di solitudine, intesa non come disperazione, ma come momento fondante dell’animo umano che può consentire allo stesso di trovare la via per riappropriarsi del suo posto nel mondo. Una solitudine che si rivela utile strumento per intendere e vivere la vita.
“Chiude gli occhi, la neve scende e sembra sale, sale che brucia sulle ferite o che rende prezioso un piatto. Argento e Sale, sale e argento, Argentaria, Srebrenica, Tuzla dal turco Tuz, sale, la sua vita tra sale e argento, tra morte e vita. Guarda fuori e sembra quasi parlare alla neve: “Riportami quest’uomo che tuttavia non cercherò, riportalo a me quando avrà ripercorso sentieri di sale e argento, io sarò qui, come deve essere, come sarà, ad attendere il ritorno dell’anima”. Poi tutto diviene silenzio.”
Il racconto che dà il titolo alla raccolta ha vinto il Primo Premio Affabula 2016 Sezione “Racconto Breve”.
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L’autore
Damiano Gallinaro nasce a Formia (LT) il 31.07.1971, ma da sempre vive tra Gaeta, Roma e il Mondo. Nel 1989 si aggiudica il primo premio Adista-Dossier Sezione Poesia con il componimento “Storie di Guerra”, il suo primo lavoro sui Balcani.
Da allora la ricerca di una spiegazione ai perché di una guerra atroce lo spinge dopo la laurea in Giurisprudenza nel 1996, a percorrere le strade dell’antropologia. Nel 2011, dopo essersi laureato in Teorie e Pratiche dell’Antropologia, e a conclusione di un percorso di ricerca di tre anni, si addottora in etnologia.
Numerosissimi i convegni etnologici che lo hanno visto partecipare, così come i concorsi letterari. Alcune sue poesie sono state selezionate per importanti antologie. Oltre a tre pubblicazioni di carattere antropologico, Gallinaro ha pubblicato per le edizioni “Il mio libro” il racconto “L’isola di Brumalia”.
“L’amore per la scrittura e per la letteratura in generale praticamente nasce con me. Fin da piccolissimo, infatti, inizio a creare il mio mondo, anche grazie alla musica che spesso è stata il punto di inizio di tanti interessi. Ho iniziato a scrivere i miei primi racconti all’età di 12 -13 anni e da allora non ho mai smesso. Durante l’adolescenza scrivevo ad un ritmo ora impossibile da sostenere. Qualche settimana fa ho trovato quasi per caso uno scatolone pieno di mie scritture, alcune rileggendole adesso, sono ancora attuali e chissà che non meritino una pubblicazione…” ci racconta l’autore dell’opera oggetto della nostra presentazione, rivelandoci anche i suoi progetti futuri: “Sono tanti, ma due soprattutto spero vengano alla luce in Autunno e a fine anno. Il primo è un romanzo ambientato a Maiorca, isola in cui ho vissuto per sei anni, la storia si svolge all’inizio degli anni novanta e per la prima volta racconto la nascita e lo sviluppo degli amori di un piccolo gruppo di adolescenti persi tra la modernità e la voglia di partire alla scoperta di nuovi mondi e la voglia di restare comunque nell’isola legati alle proprie radici. Il secondo è un progetto che sto portando avanti da molti anni, una sorta di guida letterario-esistenziale dei Balcani che rappresenta per me il punto di arrivo di quasi 15 anni di viaggi e ricerche. Ogni anno ne rinvio la pubblicazione ma ora è arrivato il momento di rendere in narrativa ciò che gli occhi e il cuore hanno osservato.”
Per saperne di più leggi la nostra intervista all’autore QUI.
Lo stile
“Non saprei come definire il mio stile. Di sicuro privilegio il racconto e il romanzo breve. Negli ultimi vent’anni ho scritto una serie di racconti con tema balcanico che seppure apparentemente non legati avevano comunque un filo rosso comune: il tema della solitudine. Quest’ultimo tema legava anche tre racconti inseriti nella raccolta che seppur non di carattere balcanico, mi sembrava bello regalare al lettore, perché rappresentavano differenti tipologie di solitudine. Inoltre esiste nella cultura balcanica un sentimento simile alla saudade brasiliana, la sevdah e che ha un suo carattere universale, e che permea l’intero libro. In genere nei miei racconti ci sono pochi personaggi anche se ultimamente sto sperimentando maggiori intrecci narrativi. Uno dei miei riferimenti è sicuramente Buzzati, un grande affabulatore, un creatore di mondi, un poeta per immagini” afferma l’autore de L’Uomo di Selo e altre solitudini balcaniche che, nella medesima raccolta, ha inserito qualcosa di se stesso, del suo mondo e dei suoi viaggi, in ogni singolo racconto. E, soprattutto uno di essi, dal titolo Empatia, è molto personale, tant’è che costituisce una sorta di biografia emozionale dei suoi primi venti anni di vita.
E non mancano gli aneddoti legati alla nascita della silloge in esame, tra cui il seguente: “Quando ho deciso di raccogliere i racconti mi sono trovato a ricordare di come avevo vissuto la partita in cui Lionel Charbonnier fece la clamorosa papera. Si trattava di un Parma – Rangers di Glasgow preliminari di Coppa dei Campioni di ormai alcuni anni fa. Io, tifoso del Parma mi apprestavo a guardare la partita sperando in una grande rimonta della mia squadra del cuore, e quindi mi ero preparato la classica cena da partita, pizza birra e …come direbbe Fantozzi, rutto libero. Beh, dopo che Charbonnier sbagliò la presa in quella parata, misi da parte tutto e in modo empatico decisi che non importava nulla se il Parma non fosse passato, da ex portiere volevo che Charbonnier vincesse la sua partita. Poi vabbè un mio amico finì per approfittare del buffet calcistico…”
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