L'orso | Claire Cameron L'orso | Claire Cameron

L’orso | Claire Cameron

Hai paura dell’uomo nero?

Quante volte per zittire le marachelle di discoli bambini che non hanno per nulla voglia di dormire questa “docile” minaccia è stata profusa, con il solo e semplice scopo di invogliare con “una paura” misurata , alla tregua dal gioco e dallo scorrere lieve di una vita al suo inizio.

Una minaccia senza fondamento, insomma.

Ma…se improvvisamente l’uomo nero si palesasse divenendo effettiva minaccia, trasformandosi in qualcosa che gratta, sbuffa, annusa, scricchiola, sgranocchia immanente e imponente attorno a noi, come potrebbe trasformarla un bambino per render una tale e tangibile paura accettabile e governabile?

Con l’unica arma che l’età gli consente: l’immaginazione e la fantasia. La trasformazione sarebbe immediata: l’uomo nero diverrebbe un cane invadente ringhioso e curioso, sulla stregua di quello dei vicini di casa, abile, però, a nascondersi tra i fogliami di un bosco sconosciuto, dove un tenero bastone è in grado di trasformarsi in uno scettro di potenza salvifico di tutto, anche un fratello piagnucolone.

Scandendo eventi tragici, paure vissute e fantasie nate per accettazione in un delicato mescolamento e rimescolamento dei  fili di una vita tra il vero e l’immaginato si annodano emozioni universali, indicibili, controverse e dolorose che danno a “L’Orso” edito da SEM di Claire Cameron il dono di portare colui che legge  a “sperimentare, vivere e rivivere” attraverso i piccoli protagonisti, Anna e il fratello Stick (al secolo Alex), le emozioni più estreme che la vita offra: il sacrificio e l’amore genitoriale, la paura e l’accettazione consapevole della perdita, il dolore e il distacco da chi amiamo e ci ama.

A condurci in questa storia è una bambina di cinque anni.

Anna, Alex detto Stick (tre anni o poco più) con  mamma e papà sono accampati a Bates Island, Lago Operongo Canada. Nella notte le urla di mamma, e subito dopo un atto repentino di papà li chiude entrambi nella immensa scatola refrigerante.

La bambina non capisce, si chiede perchè i genitori siano così “agitati”, forse ha fatto qualcosa di male, ha disobbedito? Cosa avrà fatto di così grave. Fuori poi, nella notte c’è qualcosa. Qualcosa di grosso e nero che si muove e gira attorno alla scatola “rifugio” furtivo e silenzioso. Un uomo, o forse un cane nero simile a quelli che gironzolano vicino casa in città. Sicuramente un cane che sniffa, annusa, graffia, sgranocchia. Sembra quasi stia arrotando i sui denti su “qualcosa”: forse su uno dei grossi rami di pino che fanno dell’isola un vero paradiso per campeggiatori.

Anna, tra tutti questi dubbi domande e pensieri, si addormenta e si sveglia.  La mattina tutto sembra calmo, di un normale quasi irreale, ma uscendo dalla scatola refrigerante trova solo devastazione: sembra passato un ciclone e mamma e papà non rispondono al suo insistente “chiamare” e Stick ha bisogno di fare pipì.

Tra il disordine i fratelli trovano una scarpa di papà (l’avrà persa?) e poco oltre mamma riversa a terra con gli occhi fissi e la voce flebile che chiama dolcemente Anna. La bimba si avvicina ed ascolta la richiesta della mamma.

“Prendi la canoa e porta te e tuo fratello sulla terraferma!”

Anna da principio rifiuta, con il capriccio tipico dell’età, ma alle docili (e ultime) parole della madre non può dire di no, e la bambina compie quello che si rivelerà essere l’ultimo atto d’amore di una mamma verso la salvezza dei suoi piccoli.

La traversata non è semplice, come il vagare nel bosco che acquista via via nella mente di Anna le fattezze di un luogo magico, dove si instaura un duello a distanza tra le rive del lago, i rami, foglie e fronde tra Anna e l’ombra nera che la osserva e ne studia i movimenti per prenderla in fallo e farla diventare (assieme al fratello)  “prigioniera” .

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Ma il desiderio di casa, di raggiungerla perchè lì certamente troveranno i genitori ad aspettarli, è grande e lo è a tal punto da far superare ai bambini la notte le intemperie, sfoggiando coraggio da far invidia a qualsiasi adulto.

Una volta tornati a casa però troveranno solo il nonno, l’amica del cuore e la vicina con il suo piccolo cane. Nel cuore la tragedia e la drammaticità negli occhi per la perdita celata dal sogno e dalla fantasia dei genitori che si rivelerà l’atto d’amore più grande, quando anni dopo a “ricordi” recuperati Anna e Alex campeggeranno nuovamente nell’isola Bates Island nel ricordo dell’amore di coloro che hanno donato loro due volte la vita.

L’Orso è un libro che “prende”, “sconvolge”, “riflette”.

Prende” il lettore, che capisce quanto di tragico si andrà di lì a poco a scoprire.

Sconvolge” perchè a essere travolti dal tutto saranno dei bambini nel modo più tragico e maligno possa riservare la natura.

Riflette” e ripropone la più ancestrale delle paure comune a ognuno di noi: la paura della perdita dei genitori, unico rapporto d’amore incondizionato esistente.

La narrazione in prima persona che trova in Anna la sua voce, accompagna il lettore ad “assistere” agli eventi da due punti di vista, diversi e compatibili: quello di una bambina di 5 anni che legge la realtà con le chiavi di una comprensione ancora non matura, filtrata e modulata dalla favola e dall’amore fatto di abbracci caldi e di approvazioni genitoriali, e il proprio di lettore “adulto” che nel leggere traduce “già” gli accaduti narrati in cruda realtà effettiva.

Una dualità, che delicatamente scompare, lasciando il passo alla voce e agli occhi della protagonista e alle sue immagini delicate e semplici, capaci di descrivere senza “impaurire” e di farci trasformare in “Anna” che si lamenta del fratello che fa sempre pipì e tira su il moccio con il naso, e che confida che quando “tutto questo sarà finito” potrà assaporare le lodi e l’amore per lei di mamma e papà .

Ogni speranza, ogni pensiero ogni convinzione di Anna ha già in sè il macabro e aspro sapore del dolore che la protagonista percepisce, esorcizza e sublima da subito e camuffando i perimetri di crudeltà in un duello a distanza con lo sguardo dell’Orso che (ancora con i brandelli del padre) cerca di raggiungerla, di sopraffarla, facendola diventare preda assieme al fratello.

Da questi tratti potremmo definire che  l’opera di Clare Cameron come “un romanzo di formazione” .

Sarebbe riduttivo. L’autrice va oltre, aprendo in parallelo un’altra via : quella della triplice valenza del rapporto amore, vita, morte che ha quasi un sapore di infinito, dove i tre termini che definiscono la figura genitoriale si alternano dal più dolce “mamma” al più formale “madre” al più crudele “matrigna”.

Nel declinare questa triplicità l’aspetto empatico diventa predominante. Anna (e il lettore con lei) indossa i molti e già logori vestiti di tutta una vita che sanno di coraggio, crudezza e perdita; di amore, dovere e lacrime; di famiglia,  vita e morte ma anche di una certa speranza e  attesa di un ritorno.

Una speranza e un’attesa di un ritorno che durerà molto tempo , forse per sempre!

Autore: Marzia Perini

Scrivere, leggere due aspetti palesi di un'unica passione: la letteratura. Alterno scrittura originale (racconti, poesie, resoconti letterari) a recensioni librarie. Completano il quadro personale altre due passioni più "movimentate" , ma che si intrecciano e completano le precedenti: la fotografia con mostre dedicate a Roma Bergamo e Venezia e i viaggi (solidali e non). Sono Accredited Press al festival di Pordenonelegge dal 2015.

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