Il mio Vietnam | Kim Thuy
Quante pagine ci vogliono per raccontare una vita ed essere al contempo capaci di rendere partecipe chi la legge, avvolgendolo e facendolo divenire parte di paure, timori, sentimenti, speranze e sbalzi di una vita piena?
Non c’è una risposta univoca, ma quello che è certo è che Kim Thuy ha questo dono: raccontare di “vita” senza ridondanze ed egocentrismi, con uno stile snello e semplice, intenso e non prolisso, efficace e riflessivo, in grado di far emergere quelle intensità di cui il vivere è composto.
Il suo scritto Il Mio Vietnam, edito da Nottetempo nel 2017, è tutto questo. E molto di più.
Attraverso la protagonista femminile dal “nome breve” , trasposizione a tratti speculare della stessa autrice per esperienze vissute, Kim Thuy riesce a farsi il lettore amico, creando una forma di empatia che incatena ed incuriosisce, che ascolta e fa riflettere su noi stessi e su una contemporaneità che ha sempre gli stessi caratteri di dubbio e violenza, alternati a certezze che potremmo definire universali.
Vi Le Van Han ha, infatti, in sé tutti i tratti delicati e tipici vietnamiti: il nome (significa preziosa minuscola delicata); la timidezza (è una bambina all’inizio del racconto); la convinzione di poter governare il tempo (tipica di quell’età e del fatto che è la più piccola della famiglia): ne è l’indissolubile custode.
La famiglia agiata in cui è cresciuta, con un nonno avvocato e un padre ammirato per la sua bellezza, la circondano. Completa il tutto l’affetto di una mamma non certo bella, ma decisa, severa e determinata a preservare quelli che sono i suoi doveri spesso non facili, a volte spiacevoli da accettare (come l’inconsistenza e i tradimenti del marito), verso marito e famiglia, convinta fermamente di una realtà immobile e apparentemente immutabile.
Ma la guerra, quella del Vietnam, incombe e rimescola scombina e ributta sul tavolo le carte del vivere che circondano Vi e la sua famiglia.
A questo punto preservare ciò che veramente ha di più caro, ovvero Vi e i suoi fratelli Long e Loc, diviene centrale. Non lascerà che la violenza e con molta probabilità la morte li strappi a lei e alla vita.
Con l’amica Ha, simile in tutto e per tutto nel carattere alla madre di Vi, anche se non così “osservante ” delle tradizione, organizza la fuga mentre, lento, decade il mondo “familiare” di Vi (il nonno imprigionato, il padre spesso disinnamorato della moglie e apparentemente anche dei figli).
La fuga sulle Boat People, il passaggio dalla Malesia fino ad arrivare al Quebec tra la violenza della guerra e non solo, sgretola in modo vicino e definitivo quei valori che forse per Vi non sono mai stati da preservare e tenere inalterati, malgrado tutto (come invece è nella mente e nelle convinzioni della madre).
Da queste vere e proprie rovine “di emozioni” inizia per l’ormai giovane donna la “nuova costruzione” del suo sé che parte da un “amore” regolato dai “tratti della tradizione”, ma che solo apparentemente la soddisfa, rivelandosi ingannatore e avvicinandola quasi alla sorte toccata ed accettata della madre, ma che Vi, di certo, non vuole subire.
Cresce in lei, il desiderio di un’autonomia e di un pensiero proprio fatto di sogni e convinzioni nuove e diverse che hanno l’obiettivo di definirla come persona e come donna. Questo è letto dalla madre come ribellione incomprensibile, ma che si rivelerà unica strada percorribile, salvifica e che permetterà a VI di scoprirsi autonoma nelle sue scelte, nelle sue convinzioni, nelle sue vittorie e nelle sua sconfitte: capace di difendere e fare delle proprie idee, obbiettivi e convinzioni, i pesi da gestire nella propria bilancia della vita.
Quando, una volta ritornata in Vietnam, riuscirà a ricomporre il mosaico scomposto della propria esistenza e delle sue vere radici e origini, solo allora riuscirà in modo diverso anche ad accettare le sfumature opache ed impreviste passate e presenti attraverso la nuova dimensione del suo sé, che la condurrà davanti a un nuovo bivio del suo vivere: questa volta conscia e un po’ più pronta a conoscere una nuova parte di se stessa.
Leggere questo breve romanzo è come attraversare un soffio di una vita che nasce, si modifica e alla fine spera in ciò che potrà venir dopo.
Il narrare leggero, energico, incalzante frizzante e delicato traccia i margini dei sentimenti, dei dubbi, delle paure ed incertezze tipiche di una ogni vita, maggiormente se intaccata dalla guerra che sempre modifica rimescolando percorsi e sentieri.
Nei brevi capitoli, che compongono il testo e che lo fanno assomigliare a un diario d’altri tempi, si percepiscono perplessità, paura, certezze, decisioni e sempre amore: per la famiglia, il proprio uomo, per la vita.
Punti nevralgici che possono cambiare come obiettivo o tempistica, ma che si ribadiscono come filo conduttore che permette di riavvolgere e svolgere il vivere per ricomporlo e tesserlo nuovamente secondo i nuovi dettami del sentiero postoci o che abbiamo posto dinanzi a noi.
Le parole fresche, convinte, mai astiose raccontano, coinvolgendo il lettore.
Non palesano alcun preconcetto o giudizio verso chi delude (come il padre della protagonista) o chi ostinatamente non comprende ciò che è diverso da convinzioni e modi di vivere vecchi di secoli (come la madre di Vi).
La determinazione nelle proprie scelte è abbandono solo apparente del passato o della tradizione.
E’ solo un’altra via, che ha lo scopo di perimetrare l’essere persona di una giovane ragazza che diviene donna, coraggiosa, determinata, dedita a una vita che lascia troppo spesso senza fiato e senza colore, ma che va comunque affrontata con quella speranza in nuove prospettive di vivere attraverso l’atto più difficile che ci vine concesso: scegliere. Unico e solo che ci permette di essere sempre, malgrado tutto, noi stessi.
Kim Thuy, con il suo narrare capace di disegnare immagini lineari personali che divengono pensieri condivisi, è davvero “curativo”. Per chiunque.
Dalle sue parole, che hanno suono, traspare la conscia presa di evidenza e di possesso della vita, che può dare e togliere molto, con la velocità di un battito d’ali. In questa imprevedibilità si deve ricercare, anche con fatica, la sua preziosità che spesso sfugge, celata dal velo del dolore e dell’insoddisfazione.
La rassegnazione potrebbe, però, prendere il sopravvento. Che fare allora?
L’accettazione oggettiva di ciò che accade è atto utile e necessario, certo. Ci consente di fare ancora un passo avanti con curiosità.
Modulando, così, curiosità e capacità di vivere al meglio il tempo che ci viene concesso, troveremo l’inizio di una via che potrà risultarci ancora più faticosa certo, ma che ci darà quella consapevolezza e accettazione dei nostri limiti e pregi che ci consentiranno, almeno, di intuire ciò che potremmo trovare dietro il prossimo nostro angolo di vita.