Intervista a Claudio Ferro, autore de “I segreti del Cavaliere di Normandia”
Papà siciliano, mamma veneta, Claudio Ferro è nato 57 anni fa a Padova, ed è cresciuto a Catania. Dirigente in una multinazionale. Sposato, una sola moglie, due figlie meravigliose. In questa intervista ci parla del suo romanzo I segreti del Cavaliere di Normandia.
Parliamo subito del tuo ultimo libro. Raccontaci brevemente la trama e in quale genere si colloca.
È un romanzo storico, che parla della conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo di Normandia. La storia è narrata in via retrospettiva da Vilfredo di Alencon, amico d’infanzia e primo consigliere di Guglielmo.
Parlaci di te e del tuo amore per la scrittura: come nasce?
Al liceo scrivevo favolette alla Stefano Benni, dove i compagni di classe eravano i protagonisti. Ebbero un grande successo. Quando le mie figlie erano piccole, scrivevo le favole che poi leggevo la sera. Da “grande” lessi L.A. Confidential, e mi venne una specie di smania che si placò solo scrivendo.
Quanto tempo hai impiegato a scrivere questo libro? Descrivi un po’ l’atmosfera e l’ambiente, lascia che i lettori possano immaginarti mentre sei intento a scrivere.
Per un romanzo storico è importante documentarsi. È stato bello, come tornare a scuola, a me la storia piaceva. Poi il racconto è venuto da solo e al momento di scrivere “fine” mi è dispiaciuto…
Sappiamo che hai uno stile tuo, ma stando al gioco, a quale autore del presente o del passato ti senti (o aspiri) di somigliare e in quali aspetti? Fai un gioco analogo per il tuo libro.
Amo la scrittura “dry” alla Hemingway. Per questo amo autori come Scebarnenco, Simenon, Chandler. Per un romanzo storico “classico” il riferimento è Walter Scott.
Se dovessi consigliare una colonna sonora da scegliere come sottofondo durante la lettura del tuo libro, cosa sceglieresti?
Mission non sarebbe male, se parliamo di colonna sonora ufficiale. Altrimenti un brano come Bouree.
Un’ultima domanda per salutarci. Rivolgiti ai nostri 300.000 mila lettori, con un tweet in 140 caratteri.
Ha ragione Daniel Pennac, ogni volta che leggiamo, viviamo una vita in più. Quella di Vilfredo è stata intensa e lunga.