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Intervista a Remo Bassini, autore de “La notte del santo”

La notte del santoNato a Cortona, provincia di Arezzo, nel 1956, Remo Bassini ora vive a Vercelli. Un passato da operaio, portiere di notte, studente lavoratore, per poi intraprendere la carriera del giornalismo. Ha al suo attivo undici libri per editori piccoli e medi.

Parliamo subito del tuo ultimo libro. Raccontaci brevemente la trama e in quale genere si colloca

Il libro procede in due direzioni.
C’è il giallo – con sgozzamento di più vittime – e c’è la vita privata del commissario Dallavita. Dovrebbe indagare, ma è depresso, stanco e, a quasi sessant’anni, si è separato dalla moglie. È, insomma, di un giallo anomalo, ambientato a Torino, con risvolti psicologici e politici.

Parlaci di te e del tuo amore per la scrittura: come nasce?

Questo è il mio undicesimo libro pubblicato, scrivo da sempre. Ma il mio primo libro nasce una sera quando, davanti a un foglio, faccio una richiesta a me stesso. Mi chiedo: Raccontami una storia.
È successo vent’anni fa. Scoprii che un segreto importante è stupire se stessi mentre si scrive.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere questo libro? Descrivi un po’ l’atmosfera e l’ambiente, lascia che i lettori possano immaginarti mentre sei intento a scrivere.

Solitamente impiego dai due ai sei mesi per scrivere un libro, ma per “La notte del santo” le cose sono andate in modo differente. L’ho riscritto tre, quattro volte. Non ero mai soddisfatto, perché mi premeva delineare bene anche gli autori dei delitti. Ho sempre scritto di notte, da solo, nel silenzio, fumando la pipa e bevendo caffè pur di stare sveglio.

Sappiamo che hai uno stile tuo, ma stando al gioco, a quale autore del presente o del passato ti senti (o aspiri) di somigliare e in quali aspetti? Fai un gioco analogo per il tuo libro.

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Sono tanti gli autori da cui imparo, leggendo. Faccio un po’ di nomi: Berto, Pratolini, Chandler, Steinbeck, Renato Olivieri. Ma preferisco fare altri ragionamenti. Penso che la mia scrittura sia fortemente in debito con gli studi che ho fatto di teatro (ho anche recitato) e psicologia. Punto moltissimo sulla immedesimazione.

Se dovessi consigliare una colonna sonora da scegliere come sottofondo durante la lettura del tuo libro, cosa sceglieresti?

Il libro ha una sua colonna sonora. Il protagonista, il commissario Dallavita, quando finisce di lavorare gira in auto, di notte, ascoltando le canzoni che amava sua madre: canzoni di Luigi Tenco, di De Andrè, di Piero Ciampi (che in un capitolo canta: “Figli come mi mancate, sporca estate“.) Musiche e canzoni che rispecchiano gli stati d’animo del mio poliziotto.

Un’ultima domanda per salutarci. Rivolgiti ai nostri 300.000 mila lettori, con un tweet in 140 caratteri.

Per me scrivere è come respirare. Ma è anche qualcosa che mi provoca dolore. Insomma, è come se io debba pagare per fare ciò a cui tengo di più.

Autore: Redazione

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