Intervista a Daniele Zito, autore del “caso” Robledo
Come nasce l’interesse per un libro? Che cosa ci attira? In genere il nome dell’autore, il passaparola, la copertina o la quarta di copertina quando curiosiamo tra gli scaffali della nostra libreria di fiducia, oppure durante una delle molte manifestazioni culturali che il nostro strano e bel paese offre.
Robledo, edito da Fazi e scritto da Daniele Zito l’ho scoperto durante l’ultimo Salone del Libro a Torino: Eden incontrastato per i lettori, gli amanti della letteratura e i ricercatori seriali di nuove storie da leggere. La copertina rossa, con la sagoma nera di spalle di un uomo, mi ha subito incuriosito e la lettura delle sue pagine non è stata da meno. Il tema, la scrittura e la storia si imponevano e frapponevano trasversali a questo nostro vivere contemporaneo.
Ed eccoci qui ora con l’autore, Daniele Zito, a scambiare pensieri curiosità e domande sul suo romanzo.
Bentrovato Daniele, il suo secondo romanzo, ROBLEDO, è davvero particolare sia per livelli di lettura, che di stile, che non trascurano anzi si arricchiscono con una marcata vicinanza alla realtà. Può raccontare ai lettori di Recensionilibri.org lo spunto che l’ha convinta a raccontare questa storia?
Ad un certo punto della mia vita, guardandomi attorno, mi sono ritrovato letteralmente circondato da persone che prestavano il proprio lavoro in maniera gratuita a gente che su quel lavoro lucrava in vario modo. La cosa che ho reputato interessante è che nessuno di loro si sentiva particolarmente sfruttato, vivevano la loro condizione come un punto di passaggio verso qualcos’altro. Lavoravano gratis per sei, sette, otto ore al giorno come se non ci fosse alcun domani. Tra di essi c’ero anch’io. Robledo è nato quando ho iniziato a interrogarmi su questa condizione peculiare.
Il protagonista è intrigante. Michele Robledo mescola in un tutt’uno l’uomo, lo scrittore il redattore diventando da narratore della storia vero e proprio protagonista. I suoi molti livelli di “persona” si confondono e si mescolano dando solo alla fine l’immagine a tutto tondo di un uomo attuale reale e possibile. Robledo è forse la sintesi del “lavoratore uomo contemporaneo”?
Non credo, in fondo il personaggio di Robledo è un personaggio satirico e, in quanto tale, semplificato, meno complicato di quel che appare, non adeguato a diventare un emblema. Leggendo la sua storia si “crede” davvero che gli LPL, Ghost worker – “fantasmi del lavoro” precari dell’occupazione invisibili – siano reali “esistano”. Sembrano essere in grado di diventare davvero “soggetto” di un reportage, di un fatto di cronaca: antagonisti naturali del protagonista.
Ci racconta come è nata l’ idea di questo “personaggio” corale? E’ possibile che esistano “entità fantasma” di lavoro?
Credo che già esistano. I luoghi di lavoro sono pieni di stagisti, lavoratori “in prova”, studenti di master, free lance stravaganti, illusi di vario tipo, tutti rigorosamente non pagati. Queste persone sono spettri sotto molti punti di vista, non solo quello fiscale: non hanno diritti, non hanno contributi, a volte indossano una divisa, il guaio è che sotto quella divisa non c’è un lavoratore, solo un volontario. Basta andare ad un centro commerciale, dentro un negozio di catena, dentro un museo, dentro la redazione di un giornale, per rischiare di trovarsi al loro cospetto.
A pagina 32 del suo testo fa riflettere l’affermazione di uno dei molti LPL – Lavoratori per il Lavoro (Ghost worker) “Ho avuto l’impressione di essere di nuovo utile”…
L’essenza del lavoro è quella del sentirsi “utile”, quasi come un volontario. Il lavoro, quindi, fa l’uomo utile, non libero?
Il lavoro è uno dei motori di “senso” più importanti della nostra costruzione identitaria. Senza lavoro, è difficile riuscire a capire chi si è, cosa si vuole, dove ci si posiziona rispetto agli altri.
La sindrome da LPL ha i tratti della dipendenza. Sembra ritornare (in chiave diversa) l’idea di alienazione che, perdendo le caratteristiche di un tempo, ne acquisisce altre capaci di storpiare il vero valore del lavoro. Ma qual è il vero “valore” del lavoro?
È una domanda molto complessa, non credo di avere una risposta chiara. Per quello che ho capito io, probabilmente il lavoro non ha alcun “valore”, però ci permette di andare avanti, di costruire un futuro.
Un aspetto che è in qualche modo inquietante è il “percorso di liberazione” che ogni Ghost worker intraprende: morte/suicidio…Può spiegarci il perché di tale “drasticità” in questo binomio?
L’impossibilità di arrivare a una retribuzione scatena un meccanismo perverso per cui ci si ritrova a lavorare come matti, mettendo assieme due o tre lavori, nella speranza di riuscire, un giorno, a ridiventare lavoratori “normali”. È come vivere dentro una gavetta eterna, priva di senso. Può funzionare per un periodo breve, dopodiché questa prolungata assenza di una qualsiasi forma di ricompensa comincia a scavare dentro la psiche dell’individuo, logorandola, deformandola. Non siamo progettati biologicamente per lavorare senza aspettarci nulla in cambio e non siamo sull’onda di una mutazione che ci permetta di adattarci a questa condizione. Dunque, l’unica via d’uscita plausibile è il suicidio.
Nella storia è nettamente percepibile un filo rosso che unisce i vari “raccontatori”. Un profondo senso di smarrimento emotivo a cui Robledo riesce a dar voce, fatto di paura per quella solitudine che sfocia nella disperazione e nell’abbandono. C’è la voglia di ribadire che l’uomo è un animale sociale che solo con il lavoro e la condivisione può definire la sua coscienza di esistenza?
L’uomo è un animale sociale capace di costruire enormi credenze collettive per riuscire a coordinare grandi masse di individui. Il lavoro è una di queste credenze. Come tutte le credenze si fonda sulla nostra predisposizione a ritenere che sia reale.
In Robledo si incrociano molti stili che sono il punto forte della narrazione che dà quella dinamicità che trascina il lettore. Frequente è l’uso del dialogo/intervista: quale valore in più apportano le parti narrate “a intervista”? Sono da considerarsi una volontaria intenzione di dare ulteriore veridicità al testo?
Sì, in parte sì. Servono anche a dare forma alla trama. Dura lex, sed lex.
Un’altra citazione dal suo testo, a pag 144: “La proprietà privata limitata solo ai beni di prima necessità come vestiti, carta igienica, a volte, ma solo a volte libri”.
E’ una presa d’atto o di coscienza che il “coltivare lo spirito” sia necessario ma non essenziale. Un pensiero molto vicino a Orwell: una sua provocazione celata o è davvero così il nostro contemporaneo?
No, non è una provocazione, è solo il pensiero di uno dei personaggi descritti da Robledo. Personalmente non sono d’accordo con esso. Secondo me i beni di prima necessità sono altri, hanno a che fare con i legami famigliari e con quelli comunitari.
Michele Robledo nasconde una poeticità davvero particolare: la sua volontà fatta di fasi alterne dove fuga, riscatto e rinascita si susseguono, ricorda un po’ il Mattia Pascal. Ha una capacità (voluta o meno) di portare il lettore in un mondo liquido e parallelo alla Bauman o alla 1Q84, dove “i fatti” messi sul tavolo impongono una “presa d’atto” che possa essere capace di valutarli e modificarli…
Suggestioni interessanti. In realtà gran parte delle affinità del libro sono musicali. Nella sua costruzione, nel suo montaggio, nel suo timbro c’è finito dentro molto Bach. Per qualche mese non ho ascoltato altro che le sue fughe nel tentativo di capire cosa ci fosse lì dentro. Non l’ho capito. Nel frattempo ho scritto Robledo.
Ma in una o più di queste storie c’è un po’ anche di “Daniele Zito” ricercatore, alle volte precario?
No, non credo. Mi sono ritrovato spesso a lavorare senza essere pagato, ma nulla della mia esperienza personale è finito dentro il gorgo Robledo. In fin dei conti non era così interessante come il resto…
Recensionilibri.org nasce per i lettori e dai lettori. Lei che genere di lettore è? Ha un consiglio “letterario” per il comodino dei nostri follower?
Sono il tipico lettore spazzatura: leggo tutto quello che mi capita sotto gli occhi, senza stare lì troppo a domandarmi se sia bello o meno, se abbia senso o meno. Consigli di lettura? È appena uscito Pacific Palisades di Voltolini, è uno dei libri che mi ha colpito di più in questo periodo, lo consiglio a tutti.
Sono certa che i nostri lettori andranno a scovare questo titolo! Si dice non c’è due senza tre: ha già il terzo romanzo in cantiere come idea o bozza?
Ne ho tanti, ma per il momento preferisco fare il padre. Se un giorno mai tornerò a dormire come un essere umano, ricomincerò a scrivere.
Grazie Daniele, per i molti spunti di riflessione e auguri per la nuova avventura di padre. Noi, in quanto lettori, confidiamo in un suo riposo ristoratore, che sia anche di ispirazione per nuove storie capaci di far riflettere su questo uomo contemporaneo che ha la tendenza di ingarbugliare anche le piccole cose della vita che possono sembrare lineari.