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Intervista a Dacia Maraini, narratrice di storie

Dacia Maraini La bambina e il sognatoreDacia Maraini è una grande narratrice di storie. Ricordo ancora quando un’amica siciliana, dopo uno dei miei tanti soggiorni nella bella Sicilia, mi regalò il suo testo, forse il più famoso “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, promettendomi che ne sarei rimasta affascinata.

E fu così.

Storie semplici ma non banali, racconti intensi, mai scontati e, anche se lontani nel tempo e dalle nostre sensazioni, parte integrante e intima, tanto da diventare parte vitale di un viaggio all’interno di noi stessi o di una realtà vicina ma poco conosciuta. 

È una caratteristica innata di questa narratrice di storie, di vita e di emozioni che non manca nemmeno nel suo recente romanzo La Bambina e il Sognatore.
E lo è stato a tal punto da darmi la possibilità di dialogare piacevolmente con l’autrice su questo testo, sulle riflessioni da esso derivate e sulla lettura e sulla letteratura in generale.

Ben trovata e, prima di tutto, la ringrazio per la sua cortese disponibilità a dedicarci il tempo per questa chiacchierata.

Nel leggere il suo romanzo “La Bambina e il Sognatore”, pare evidente che fra tutti i temi principe siano due in particolare: l’infanzia e il sogno. Come è nato quel legame che ha portato alla trama del romanzo?

Sinceramente non glielo so dire. I romanzi nascono da emozioni profonde che cerchiamo di esprimere attraverso le parole, ma da dove provengano quelle emozioni è difficile dirlo. L’importante è dare loro la parola, ma non sempre ci si riesce. E infine non basta dare loro la parola, ma bisogna che questa parola sia condivisa da chi legge, cosa ancora più complicata e difficile. E soprattutto imprevedibile. Anche quando siamo presi da grandi emozioni (letterarie, linguistiche, sociali, narrative) non è detto che riusciamo a comunicarle a chi legge. È questo il grande mistero del talento e della comunicazione.

Il sogno, il sognatore e la fiaba riportano inevitabilmente alla visione Shakespeariana che ci definisce “fatti di sogni”. Possiamo dire che i sogni, in qualche modo, siano gli unici capaci di salvarci dal contemporaneo dolore? Quanta importanza rivestono nella nostra vita? E nella sua?

I sogni sono un sintomo. Non sono facili da interpretare e forse non bisogna nemmeno cercare di interpretarli. Sono un sintomo di qualcosa che si muove nel nostro rapporto con la realtà, o nel complicato legame  che lega la realtà all’irrealtà.

Mi colpisce molto la definizione che critici, giornalisti e suoi estimatori fanno di Nani Sapienza, il protagonista, identificato come “nuovo Geppetto” per il suo innato desiderio di paternità. Quanto ha trovato difficile renderlo reale vivendone gli spessori umani “da donna” e a che “tratti paterni” si è ispirata?

Io conosco, come donna, il desiderio di maternità. Fra l’altro frustrato perché ho perso un figlio al settimo mese di gravidanza. Ho sempre pensato che anche gli uomini provino questo sentimento ma che la cultura patriarcale l’abbia  censurato, attribuendolo solo alle donne e facendone materia di discriminazione.
Come se la natura avesse dato alle donne l’incarico di occuparsi dei figli piccoli e all’uomo di ignorarli finché non diventano tanto consapevoli da diventare loro compagni, di viaggio, di avventure, di guerra, ecc.
Ma alcune antiche favole e antichi miti ci raccontano che non è così: che il sentimento di paternità è insito nell’animo maschile, come in quello femminile.
Una di queste favole è proprio Pinocchio.
Se lo leggiamo nei panni di Geppetto ci accorgiamo che è il racconto di  un uomo anziano, brutto, povero  e solo, che desidera un figlio, tanto che se lo costruisce da solo, scolpendo un pezzo di legno. Il suo amore per questo figlio di legno è talmente potente che alla fine riesce a trasformarlo in un vero bambino di carne.

Sapienza, però non è solo questo. È un uomo triste ma curioso, ricco di dubbi, domande e perplessità tali da far diventare ogni suo interrogativo nuova linfa per il suo “vivere”,  che lo aiutano poco a poco a capire e accettare il dolore della sua perdita arrivando a trovare un nuovo senso nel futuro.

Questa “ricerca” di nuovi scopi vale solo per il suo protagonista o voleva sottolineare una qualche necessità di quell’uomo oggi che ha davanti a sé una nebbia che non sembra intenzionata a diradarsi per mostrare un futuro più chiaro?

Io non scrivo per dimostrare delle teorie, ma per capire le persone e il mondo. Con Nani ho cercato di capire come si possa uscire da una situazione di depressione e letargo. E forse la risposta è: occuparsi degli altri. Non esistiamo senza gli altri e gli altri, soprattutto coloro che soffrono, i deboli, ci aiutano a capire noi stessi e le nostre stesse sofferenze.

Mi ha stupito l’evidenza nella narrazione (per altro assolutamente condivisibile) del ruolo dell’educatore “vecchio stampo”, il “maestro di una volta” che non si limita a insegnare ma “racconta” i fatti, un po’ forse come fa lo scrittore: come vede la nostra istituzione educativa odierna?

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Infatti, penso che la scuola abbia preso una piega troppo tecnologica e efficientistica.
La scuola non serve per imparare un mestiere ma per diventare dei bravi cittadini, delle persone consapevoli e responsabili. La narrazione poi  serve a sviluppare l’immaginazione e l’immaginazione per me sta alla base di ogni etica. La capacità di sentire il dolore altrui, e quindi la voglia di rimediare, viene proprio dalla capacità di immaginare. 

Nelle pagine del suo scritto riporta una citazione di Goethe, secondo cui “La cosa più difficile del mondo è capire con la propria testa quello che sta sotto il proprio naso”, quasi a riassumere i diversi livelli della ricerca. Ci può fornire la sua interpretazione?

Troppo spesso viviamo immersi in una non-realtà virtuale in cui tutto è prefabbricato e convenzionale. I modelli ormai sono globali ed entrano prepotenti nella nostra visione del mondo. Questo ci impedisce, appunto, di vedere con i nostri occhi quello che sta sotto il nostro naso.

Destabilizzanti appaiono i molti dei riferimenti al dramma delle “spose bambine” e delle violenze perpetrate al popolo dell’infanzia, in genere e femminile in particolare. E lo sono a tal punto da diventare “funzionale di narrazione”, quasi narrazione nella narrazione. Mi riferisco alla storia di Elena Levi e alla ricerca della figlia Fatima . Quali sono stati i passaggi che l’hanno portata a questa decisione narrativa?

È come se Nani facesse un viaggio nel mondo delle ombre, simile a quello di  Orfeo, per andare a cercare la piccola Martina. Ma in questo viaggio verso la morte incontra  altre bambine e altre storie, ancora più tragiche di quella di sua figlia. Martina – Euridice conduce il giovane padre a indagare su altre bambine in pericolo, pronte anche loro a partire per un doloroso viaggio di non ritorno.

I suoi riferimenti letterari lasciati come le molliche di Pollicino accompagnano il protagonista e il lettore, non solo nella “Letteratura” tradizionale ma anche di quella di denuncia. Penso a Somaly Man. Ritiene ci siano dei libri tali e universali da definirsi “carnet di lettura” di tutti? Qualche suggerimento per i lettori di Recensionilibri.org?

Tutti i grandi classici sono carnet di lettura. Quando un libro si fa leggere da lettori di generazioni diverse vuol dire che ha qualcosa da dire per tutti, a prescindere dal momento in cui è stato scritto.

In prossimità di fine romanzo mi ha colpito il dialogo fra Nani Sapienza e Francesco ed in particolare quando il secondo rivolgendosi al primo afferma“Forse l’uomo pratico con il senso della realtà ha bisogno, accanto a sé, di un sognatore”. In chi possiamo individuare “il sognatore” oggi? Forse è lo scrittore nella possibilità di ricoprire questo “ruolo” trasversale? o c’è qualcun altro più adatto?

Sì, penso che gli artisti siano dei sognatori, degli archeologi che ricostruiscono la realtà sui resti spogli di età passate, e l’uomo pratico, ovvero il politico, il finanziere, il poliziotto, il militare, il giudice, abbiano bisogno di ascoltare la voce di chi sogna. Altrimenti il potere (perché costoro tengono in mano le redini del potere) rischia di diventare arido e fine a se stesso.

Ci sono voci sempre più insistenti di un suo prossimo romanzo; non le chiediamo anticipazioni sulla trama o sui personaggi, le chiediamo se al momento ha già un’idea di quando potremmo leggerne le pagine e se quello che sta producendo le “piace già abbastanza” .

 Sì sto scrivendo un altro romanzo ma non ne parlo finché non sarà finito.

Una domanda, infine, a Dacia Maraini “lettrice”: come si definirebbe? Onnivora, selettiva, amante dei romanzi dei saggi o della poesia? Che testo l’aspetta scrivania?

Sono una appassionata lettrice. Leggo appena posso, anche in autobus, camminando, aspettando alla posta o dal dentista. Ho libri di tutte le dimensioni, adatti per ogni occasione e non li dimentico mai. Ogni momento di pausa, di attesa, di vuoto, è buono per leggere. Anche purtroppo durante le  lunghe veglie notturne perché soffro di insonnia, sin da quando ero bambina. La lettura che preferisco sono i romanzi, ma amo molto anche i libri di storia; ricordo che a scuola, quando le lezioni mi annoiavano, tenevo sotto il banco la “Storia di Roma” di Theodor Momsen e, volume dopo volume, me li sono letti tutti, comprese  ‘Le province dell’impero romano da Cesare a Diocleziano”.
La poesia mi piace soprattutto quando  è letta a voce alta.
Però in collegio ricordo che leggevo Leopardi di nascosto dentro il letto perché era considerato un libro da adulti e io avevo solo dieci anni.

Rinnoviamo il nostro grazie per le preziose parole e gli interessanti consigli di “lettura” con cui ci diletteremo in attesa del prossimo viaggio narrativo in cui vorrà condurci Dacia Maraini.

Autore: Marzia Perini

Scrivere, leggere due aspetti palesi di un'unica passione: la letteratura. Alterno scrittura originale (racconti, poesie, resoconti letterari) a recensioni librarie. Completano il quadro personale altre due passioni più "movimentate" , ma che si intrecciano e completano le precedenti: la fotografia con mostre dedicate a Roma Bergamo e Venezia e i viaggi (solidali e non). Sono Accredited Press al festival di Pordenonelegge dal 2015.

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