Procuratore? No, grazie! – Luca Vargiu
Calcio, un mondo malato e pieno di sporcizia. Luca Vargiu ne ha abbastanza dei compromessi, della malafede, dei maneggi, tra i professionisti e ancora di più tra dilettanti e ragazzi. Genovese è un manager, anzi, un agente di calciatori o meglio un procuratore sportivo, secondo la dizione oggi obbligatoria. Nonostante tutto, però, insiste a restare nell’ambiente di cui tanto gli sono chiari difetti e contraddizioni. Il perché di questa scelta lo spiega in “Procuratore? No, grazie”, un libro scritto dopo l’abbondante rodaggio degli argomenti nel blog “Palle, calci e palloni (s)gonfiati”, e pubblicato per Mazzanti Libri Me Publisher (maggio 2015, 182 pagine, 18 euro), con prefazione del professor Felice Accame, docente di comunicazione presso il Centro tecnico Figc di Coverciano e una postfazione a firma della scrittrice e sceneggiatrice Elisabetta Bucciarelli.
Lo sporco mestiere del procuratore sportivo
Il libro si configura come un collage di racconti, di esperienze, di episodi e di personaggi più disparati: giocatorini più o meno promettenti osservati nei campetti, genitori che a bordo campo riescono sempre a dare il peggio di sé e protagonisti a vario titolo del pianeta calcio, che in nome dell’affare e del denaro farebbero e fanno di tutto.
Chiariamo subito un equivoco: la passione per il calcio non risulta mai tra le ragioni che portano a diventare “procuratori sportivi” (come devono essere chiamati dal maggio 2015, dopo la deregulation che ha cancellato l’albo degli “agenti dei calciatori”). È qualcos’altro che spinge a farlo: l’idea, sbagliata, che sia un mondo semplice e di facile accesso, dove guadagnare denaro divertendosi non sia poi così complicato.
Quello che si impara presto nel mondo del pallone, sempre a proprie spese, è che la parola amicizia si usa a sproposito e diviene un blando sinonimo di conoscenza. Si apprende pure che ce ne sono altre – come etica, rispetto, competenza, professionalità – che non corrispondono alla loro definizione nel dizionario.
Quello che invece i ragazzi e i loro genitori non riescono a capire è che il 90 per cento dei giovani calciatori non sfonderà mai oltre la formazione Primavera. Solo uno ogni cinquemila under tesserati riesce a diventare un calciatore professionista e questa sarebbe la visione più ottimistica; altri parlano invece di uno ogni ottomila, fino ad arrivare ad uno ogni ventiquattromila. Tutto questo è in netto contrasto con il percorso standard che gli aspiranti campioni si prefigurano con grande leggerezza fin dai primi calci: giocare, guadagnare, sposare una velina (o affini), continuare a fine carriera come commentatore affianco ad un telecronista.
Una girandola di personaggi, raggiri, trucchi.
È lunga la sequenza dei tradimenti che Vargiu racconta, insieme a trucchi, trabocchetti, raggiri e vere truffe messe in atto da colleghi senza scrupoli e soprattutto senza iscrizione all’Albo (quando era obbligatoria) o perfino con una radiazione alle spalle. Per non parlare della complicità di personaggi operanti, con maggiori o minori responsabilità, in un ambiente vasto ed eterogeneo come quello calcistico. Luca ne ha conosciuti tanti: presidenti, allenatori, preparatori, agenti, direttori sportivi, genitori, giovani atleti, ex calciatori, imprenditori del pallone, talent scout, sedicenti operatori di mercato, osservatori, manager sportivi (di cosa non si sa), non ben definiti intermediari, (poche) persone serie, (moltissimi) faccendieri, (troppi) incompetenti, molti ignoranti, tanta gente semplice (troppo semplice!) e qualche disperato.
Non ha impiegato troppo ad accorgersi che il mondo del calcio viaggia in una dimensione tutta sua, dove troppo spesso si perde il contatto con la realtà. Lo immaginava certo, ma vista dall’interno la situazione è ancora più sorprendente.
Confessa di essersi sentito spesso a disagio, fuori luogo e impotente rispetto a certe situazioni. Di avere sofferto la mancanza di valori, la spregiudicatezza, il sentirsi ripetere che “il fine giustifica ogni mezzo” e che “se vuoi lavorare devi fare così, perché così fanno tutti”. Non vuole fare la figura del Don Chisciotte, sebbene molte gli sembrino battaglie perse, ma è consapevole che nell’ambiente viene preso per un sognatore, se non un alieno.
Sa bene però – almeno se lo ripromette – di avere due strade davanti a sé: vincere o cancellare il pallone dalla sua vita.