Diario di una cameriera, un classico “scandaloso”
Diario di una cameriera di Octave Mirbau è stato definito da alcuni benpensanti di primo novecento un romanzo scandaloso, dal momento che Celéstine, protagonista e domestica, attraverso il suo diario, mostra l’abiezione e il fetore delle anime di nobili, clericali e borghesi sullo scenario di un’oziosa e ovattata Belle Époque. Uscito nel 1900 e successivamente tradotto in trenta lingue, è stato spesso equivocato come romanzo erotico: a dare scandalo la bassa estrazione sociale della protagonista e i frequenti riferimenti alla carnalità, subiti e restituiti.
Dalla strada alle opulente famiglie
È la stessa Célestine a raccontarsi senza reticenze nel suo diario a cui affida con voracità impressioni e particolari scabrosi delle residenze in cui lavora, come per vendicarsi delle angherie subite dai datori di lavoro. Originaria della Normandia, lei come i suoi fratelli crebbe malmenata, trascurata e costretta a rubare per sfamarsi: eloquente è l’iniziazione di Célestine al sesso a dodici anni, in cambio di un’arancia. Con una madre e una sorella maggiore prostitute e un fratello mozzo, alla protagonista non rimasero che le Piccole Suore di Point Croix che le insegnarono a leggere, scrivere e fare la servetta. Esemplari nel mostrare l’abbietta società che fa da sfondo al romanzo sono anche i datori di lavoro che Célestine incontra prima di essere assunta al Preuré, proprietà dei Lanlaire, nella cittadina normanna di Le Mesnil-Roy: un feticista in Turenna trovato morto dopo soli quattro giorni, il tisico diciannovenne Monsieur George di cui la giovane si innamora e Monsieur Xavier, giovane rampollo dalle esose brame, i cui genitori affidarono a Célestine il compito di distrarlo dalle donne di malaffare.
La squallida provincia
Dopo settimane trascorse nei corridoi sudici degli uffici di collocamento, giunge tristemente nella provincia francese, lontana dalla mondanità parigina. Impietoso il quadro: la signora, così taccagna da contare le prugne in dispensa, lascia il marito senza un soldo pur di avere l’esclusiva della gestione del denaro; al signore non rimane che placare i suoi appetiti con le donne di servizio, insidiando inizialmente anche Célestine, cosa che scatenerà la gelosia e la perfidia della moglie, per poi approdare alla cuoca Marianne. La ricchezza dei Lanlaire, di dubbia provenienza, ammonta a più di un milione, ma la signora si ostina a dare in elemosina ai poveri pane di pessima qualità. Il resto della servitù è composto da Marianne che dopo aver abortito giovanissima, diviene cuoca, e da Joseph che, nonostante il suo sadismo nell’uccidere anatre con l’antica tecnica dello spillone, viene considerato dai coniugi Lanlaire un servitore d’altri tempi; la stessa Célestine ne è prima intimorita e poi attratta. Il torvo Joseph, accanito clericale e antisemita, riesce nel tempo ad accumulare una discreta somma di denaro, sufficiente ad acquistare un «petit café» a Cherbourg e dopo non poche insistenze riesce a conquistare e a sposare Célestine, il cui nuovo benessere, in un impietoso contrappasso, la trasformerà in una borghese pronta a vessare le sue domestiche.
“Mi restavano tre franchi e cinquanta e il marciapiede”
Povertà, carnalità e sangue sono i tre principali ingredienti di questo romanzo, immorale poiché il punto di vista è quella di una povera cameriera: Célestine, infatti, tra le pagine del suo diario insiste sulla nuova schiavitù dei domestici, arrivando a dire dei padroni “il cuore di quella gente è ancora più disgustoso del letto di mia madre…”, esibendone la loro dissolutezza. I signori disprezzano, insinuano, e i domestici sono costretti a tacere; gli stessi intellettuali del tempo, come Bourget, “sembravano interessarsi ai drammi umani a partire dai centomila franchi di rendita in su”. A tacere sono soprattutto le donne a servizio, vittime prescelte dei signori, impossibilitate a confidare a qualcuno le violenze subite, pena il licenziamento e la strada. Célestine vuole denudare la depravazione di quelle anime perverse, le loro lenzuola sgualcite e le loro pile di cuscini schiacciati davanti agli specchi.
Il sangue come filo conduttore
Impossibile non soffermarsi anche sulla figura di Monsieur George, in cui amore e morte si fondono per la nostra protagonista. Ella sfrenatamente ricambia le attenzioni dell’uomo malato di tubercolosi, lo ama e lo accudisce fino alla fine, al punto da ingoiare il suo stesso rigurgito sanguigno come fosse cordiale. Già la tubercolosi! Malattia che connotò l’ottocento tutto, da Leopardi in “A Silvia”, a Mimì della “Boheme”, agli Scapigliati e il loro “mal di petto”. L’elemento sanguigno torna fortemente anche nel ritrovamento della piccola Claire violata e seviziata nel bosco, anche se Célestine annota penosamente quanto la morte di una bimba povera non fosse appassionante. Originalità e scrittura simbolica: un romanzo prezioso nella cui prospettiva emergono lucidamente il fasto e la decadenza della società francese all’alba del “secolo breve”.