Quella Cassetta degli Attrezzi dello Scrittore…
Stephen King, nel saggio “On Writing – Autobiografia di un Mestiere” sosteneva:
“…per scrivere al meglio delle proprie capacità, è opportuno costruire la propria cassetta degli attrezzi e poi sviluppare i muscoli necessari a portarla con sé. Allora, invece di farsi scoraggiare davanti a un lavoro che si preannuncia complicato, può darsi che abbiate a disposizione l’utensile adatto con il quale mettervi immediatamente all’opera…”.
Allo stesso modo, superata la prima fase di ambientamento, ho iniziato – per così dire – a personalizzare la mia “cassetta degli attrezzi lèttone”.
Innanzitutto mi sono iscritta alla biblioteca centrale (di cui, manco a dirlo, si gode una bella vista proprio dalla finestra di camera mia), consultando e prendendo in prestito i primi testi.
Occupandomi poi di un settore (quello dell’editoria per bambini/ragazzi), in cui l’illustrazione riveste un ruolo fondamentale ho intrapreso anche una ricerca di tipo comparatistico, analizzando le scelte grafiche e di layout adottate nelle diverse edizioni presenti in biblioteca, a partire dalle più recenti, risalendo sino a quelle coeve alla mia scrittrice.
E con grande soddisfazione ho avuto conferma di come spesso siano quelle old fashioned a rivelarsi più azzeccate; illustrazioni ad acquerello, china o carboncino, talvolta anche solo accennate, di gran lunga più evocative di qualsiasi ritrovato della computer grafica.
Sfogliare quelle prime edizioni, coll’ossequioso riguardo dell’artista che si appresta a scrivere un’icona, è stata un’esperienza per certi versi multisensoriale: percepire il profumo, la porosità della carta invecchiata ed il fruscio delle pagine (tenute insieme da semplici rilegature cucite a mano); ritrovare sottolineature e note a margine, appuntate a matita in una lingua a me nuova o vecchi ticket a mo’ di segnalibro, mi hanno portata ad interrogarmi su chi – prima di me – avesse avuto tra le mani quei testi, immaginandone le storie.
Da lì, il passo al desiderio di avere accesso diretto alle fonti (senza l’esclusiva e costante mediazione dell’inglese) è stato breve; e così, un po’ per sfida, un po’ per gioco, mi sono avventurata anche nella sezione delle lingue ed ho intrapreso lo studio del lèttone da autodidatta.
Sicuramente, in così poco tempo, non potrò assimilare che parole e brevi frasi, ma almeno inizierò a riconoscere e comprenderne alcune strutture linguistiche e potrò ringraziare nella sua lingua questo popolo che si sta rivelando così ospitale!
Il resto, poi, starà alla mia volontà ed agli sviluppi futuri, una volta rientrata in Italia, da convinta sostenitrice del lifelong learning, quale sono.
Ovviamente essere writer-in-residence non è solo studio “matto e disperatissimo” (per usare un’espressione di leopardiana memoria); qualche giorno fa, infatti, ho avuto modo di osservare la città da un’inedita prospettiva facendo un giro in battello lungo il Venta.
Il cielo plumbeo non faceva che acuire ulteriormente il netto contrasto esistente tra la sponda industriale del fiume e l’Old Town, spiccatamente turistica.
Le gigantesche gru a torre richiamavano alla mente inquietanti scene da film di fantascienza; gli addetti alla movimentazione, poi, intenti a comporre il loro delicatissimo puzzle di merci, in cabine di comando sospese nel vuoto, hanno la responsabilità dei colleghi sulla piattaforma sottostante. Basterebbe una manovra affrettata o una sferzata di vento imprevista ed il carico potrebbe sbilanciarsi, dando origine a spiacevoli incidenti.
Il ponte apribile a doppia bascula ci ha consentito di addentrarci all’interno del distretto industriale, tra cantieri navali e depositi di legname (che qui di certo non manca), pronto ad essere trasportato un po’ dovunque dai cargo.
Accompagnati dall’immancabile corteo di gabbiani siamo infine giunti al punto più estremo dell’estuario, in prossimità del mare aperto, in corrispondenza dei due fari del molo.
Intanto l’atmosfera in casa diventa sempre più amichevole: spesso ci si ritrova a tavola o in cucina a ragionare dei più disparati argomenti e si finisce, inevitabilmente coll’interessarsi al lavoro altrui.
L’altro giorno, infatti, la mia collega belga, Emma, mi ha raccontato di essersi casualmente imbattuta – durante una passeggiata in uno dei numerosi parchi cittadini – in qualcosa che avrebbe potuto interessarmi.
Non ha voluto anticiparmi più di tanto (per non rovinarmi la sorpresa, sosteneva lei); si è soltanto limitata a darmi indicazioni su come raggiungere il luogo in questione.
Così l’indomani, di buonora, mi sono incamminata e già l’impatto col parco è stato fantastico: giovani mamme a praticare yoga coi loro piccoli nei passeggini, sportivi in pieno allenamento nelle “palestre a cielo aperto” (ovviamente gratuite), bambini a divertirsi nelle diverse aree-gioco ed un verde curatissimo, intervallato da sculture realizzate da artisti internazionali, transitati in città nel corso degli anni.
Insomma, sollecitata da tutti questi stimoli avevo quasi dimenticato il principale motivo della mia spedizione al parco, quando avvisto da lontano una giostra a forma di cappello gigante, seguito da una scarpa delle stesse dimensioni; e ancora dei bottoni, chiavi ed un pettine.
Immediatamente realizzo che sono vicina al mio tesoro: pochi passi, infatti, e giungo ad un insolito monumento a Spriditis, della Brigadere.
Si tratta di un grande libro in legno, con sopra incisi alcuni frammenti del racconto; a testimonianza della grande importanza che questo Bildungsroman riveste – oggi più che mai – nella cultura nazionale, quale portatore di messaggi e valori universali.
Un ulteriore incentivo – se ce ne fosse ancora bisogno – a farlo conoscere anche nel nostro Paese.