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Piani di vita di Alberto Garlini: diversità uguali di vite parallele

alberto-Garlini_piani-di-vita-300x473Dietro un tendina di pizzo di bassa lega, da una finestra collocata in una palazzina anonima nella periferia della provincia trevigiana, Fatima osserva e immagina il mondo.

Marco omosessuale, sceneggiatore tra fiction e cinema. Attende sia l’ispirazione per concludere l’ultima sceneggiatura che il potenziale acquirente per la casa che lo ha visto crescere, fuggire da suo padre e assistere alla morte di quest’ultimo.

Achmet è il marito di Fatima e vaga tra i bar della zona e l’appartamento in cui vive, rifiutato dal lavoro di un nord est un tempo “ricco “ e cercando nell’alcool e nel gioco d’azzardo la forza di un riscatto .

Partendo da questo anomalo e apparentemente disordinato triangolo Alberto Garlini, curatore di Pordenone Legge, dà vita al suo ultimo romanzo edito da Marsilio  “Piani di Vita” (2015).

Una traccia del racconto…

Siamo nell’estrema periferia di Treviso fatta di palazzine e condomini anonimi che la nebbia umida fredda tipica dei primi giorni dell’anno rende imprecisi nei contorni, fino a far credere che finestre, porte e pareti che li compongono siano passaggi temporali possibili tra passato e futuro, tra ciò che è stato e ciò che potrà essere, tra bugia e verità.

Da quella palazzina Marco se ne è andato tempo prima (o forse fuggito) lasciando in sospeso il suo rapporto con il padre e forse anche con qualcosa che sente dentro di se ancora insoluto.

Fatima, donna magrebina musulmana, da quel condominio esce di rado per le commissioni che le sono proprie e per accudire (quando era vivo) il padre di Marco alternandosi ad Ana, una donna rumena tutto fare. Unico contatto (vero o presunto) con il mondo è la finestra di casa da dove, come in un televisore “personale”, osserva il mondo così intensamente da immaginarne, crearne e raccontare a se stessa e al marito eventi tra il vero, il creduto l’immaginato (e forse il vissuto), mentre nell’altra stanza il suo piccolo figlio piange di un pianto disperato che per la donna nasconde una causa di mala sorte.

Da questo vivere Fatima si sente stretta, soffocata molto più che da cemento di cui sono fatti i muri. La sua è una solitudine compatta che la rende disillusa e delusa di quelle promesse fatte un tempo dal marito, quando l’amore e la convinzione di un futuro migliore li univa: obiettivo concreto di una felicità capace di andare oltre le stelle del cielo. Achmet, da quelle sue stesse parole è sconfitto. La convinzione di un lavoro “facile” da trovarsi in Italia che potesse portarlo velocemente a un agio duraturo, è svanito velocemente assumendo le sembianze della disoccupazione che lo ha posto ai margini sia della sua vita matrimoniale che della sua esistenza, rendendolo insofferente e sospettoso nei riguardi del figlio, che rifiuta, e della moglie che sente sempre più nemica

Il suo sbando, sempre più marcato e violento, porta Fatima a un isolamento maggiore tanto da convincerla che gli atti gentili di Marco nei suoi confronti, quando lo incrocia nel pianerottolo o quando, ancora vivo il padre, entrava in casa per accudirlo, siano evidente e comprovato amore nei suoi confronti. E la sua convinzione è tale che con trasporto e dovizia di particolari, racconta al marito i loro “incontri“, convincendolo che l’onta del tradimento sia entrata nella sua casa e che debba colmare con al purificazione violenta tanto da decidere di pianificare un agguato “di vendetta” a Marco sul pianerottolo.

Marco, ignora lo spessore del tutto, in lui aleggia qualcosa che non controlla e da cui si sente sconfitto, come se fosse chiuso in una caverna buia. Spesso, però,  la morte di qualcuno impone un “mettere in ordine” i propri pensieri e il proprio vivere: questo per Marco significa comprensione e riscoperta di un’esistenza che credeva di conoscere e che riscopre in nuovi obiettivi di vita e professionali e in un legame paterno che in realtà li ha sempre uniti complici affettivi e mai avversari.

Ma la Vita è come una tigre bianca sfuggevole e volitiva che ha il compito di mostrarci i nostri limiti per poter in qualche modo ripartire. A Fatima, Achmet e Marco non rimane altro che prendere atto del loro vivere “vero”. Che è stato solo illusorio pensare di aver  imbrigliato e domato la loro esistenza imponendole le speranze e le sogni non previsti. Ora non rimane altro che vivere il Piano di Vita di loro competenza, semplicemente con quella purezza che si acquisisce uscendo da una caverna buia dopo la notte appena trascorsa.

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La riflessione oltre le parole

Caratteristica principe del romanzo è la triplicità dei personaggi (Fatima, Marco ed Achmet) che risultano protagonisti comprimari ed essenziali all’intera narrazione. Una trivalenza stilistica che non si limita a “sfruttare”, come un trampolino di appoggio, il confronto semplicistico tra personalità diverse per sesso provenienza cultura ma, in un circolo quasi a spirale, impone (non vista) una sospensione della parola che segue la narrazione, lasciando il lettore attento allo svolgere dei fatti, alle possibili evoluzioni e forse al ribaltamento delle stesse.

Questa triangolarità è sfruttata da Garlini in ogni sua sfaccettatura anche la più classica: quella del presunto triangolo “amoroso” che sembra instaurarsi tra i tre protagonisti. Lo contamina e lo dilata a tal punto, fino a farlo diventare spinta propulsiva unica per capire la reale vastità delle aspettative di una vita, che spesso si nasconde anche a chi la vive.

Rende fluido il tutto, un linguaggio apparentemente semplice che evidenzia una ricercatezza, quasi viscerale, di quella giusta parola capace di sintetizzare e attirare l’attenzione molto vicina a ciò che si percepisce nella descrizione cinematografica di sceneggiatura e che non ci si aspetta in un romanzo. Potrebbe apparire negativo o limitante, ma permette al lettore di entrare nella storia come osservatore reale anche se immobile ed invisibile dei fatti. La descrizione dei particolari ha, però, anche un compito ulteriore: prelude a scomposizioni di quegli spazi non tangibili che compongono l’anima dei singoli personaggi e dell’intera storia che, nel dipanare il filo ingarbugliato del racconto, pongono la vita nei suoi vari “piani” come l’unica vera protagonista della storia.

Solo la vita si rivela capace davvero di intrecciarsi efficacemente nelle esistenze dei personaggi, frapponendosi tra di essi, annodandone le fila, definendone i dolori, le speranze, le illusioni e soprattutto le paure che dal e nel quotidiano vivere trovano alimento ed equilibrio.

Lo si vede palese soprattutto in Fatima che sola sembra cogliere appieno la possibilità di diventare perno del suo esistere sperato o reale che sia. A lei Garlini concede di utilizzare la sua immaginazione per creare “sogni” di un vivere parallelo. Ma il passaggio da sogno a bugia è breve e il suo “raccontare” qualcosa che non è avvenuto se non nella sua mente, diviene endemico sfogo per permetterle di prendere atto del suo essere “persona”.

Nelle vesti di una Scherazade in chiave moderna, Fatima inventa immagina idealizza situazioni di vivere che diventano racconto, che non si rivelano (come in Mille e una notte) unguento per l’anima, ma al contrario dolorose e insicure sconfitte per Achmet, e incomprensibili dialoghi per Marco spaesato ed inadatto a recepirle.

Differentemente da Marco e da Achmet che appaiono immobili spettatori del reale da cui si aspettano la risposta al loro quesito (che arriva e per il primo con il suo riscoperto sogno di un tempo e per il secondo l’accettazione di uomo imperfetto), in Fatima accettazione dei limiti del suo vivere una vita imperfetta è compreso e consapevole. Il suo inventare storie e bugie è il grimaldello che permette tutto ciò.

Garlini si destreggia con abilità in questa nuova prova di narrazione. La vita, le diversità di genere e di provenienza e l’ambientazione risultano amalgamante a tal punto da non potersi distinguere se non nella loro unicità, davanti all’esistenza che si presenta così uguale per tutti, imprevedibile, indipendente e forte davanti alle vulnerabilità di essere umani,

Paure, sconfitte, insuccessi, speranze svanite ed errori non rimangono sospesi come mere aspettative, la loro ammissione e comprensione non è che una possibilità, unica forse, per raggiungere i diversi livelli della nostra esistenza: solo così, l’inaspettata non sarà una sconfitta ma solo un “piano di vita”, e dove l’anima non si alienerà perdendosi, ma fortifica renderà accettabile anche l’imperfezione.

Autore: Marzia Perini

Scrivere, leggere due aspetti palesi di un'unica passione: la letteratura. Alterno scrittura originale (racconti, poesie, resoconti letterari) a recensioni librarie. Completano il quadro personale altre due passioni più "movimentate" , ma che si intrecciano e completano le precedenti: la fotografia con mostre dedicate a Roma Bergamo e Venezia e i viaggi (solidali e non). Sono Accredited Press al festival di Pordenonelegge dal 2015.

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