“Morire in Primavera” con le rune sul bavero
Prima erano venuti a requisire i maiali del podere, malandato dai caccia che lo avevano preso a bersaglio. Poi erano passati a sequestrare vitelle. Alla fine vennero a prendere anche Walter e Fiete, nemmeno diciotto anni, arruolati nelle Waffen SS a combattere per il Reich, circondato dai nemici, nei primi mesi del 1945.
È il figlio del primo a raccontare la vicenda di fine guerra di due ragazzi-soldato, in un romanzo che non si dimentica, scrittura che vale: “Morire in primavera” (Neri Pozza edizioni, gennaio 2016, 208 pagine 16 euro), di uno straordinario Ralf Rothmann, sessantaduenne poeta e drammaturgo tedesco.
Papà Walter sorrideva poco, pur non essendo sgarbato, anzi era apprezzato da tutti perché era un uomo per bene e un gran lavoratore, prima apprendista mungitore poi minatore, quasi trent’anni a scavare sottoterra. Era silenzioso, riservato, molto attento alla cura della propria persona: un proletario elegante.
Il figlio insiste sull’ostinato silenzio del padre, restio a condividere i propri umori, specie se collegati all’esperienza bellica; nel 1987 Walter ha sessant’anni, quando la malattia che lo sconfiggerà lo costringe in un letto di ospedale, dove inizia a mostrare i primi segni di un’agitazione e sofferenza, alimentati da una paura sopita ma mai sconfitta… Ecco, è di nuovo in guerra, aveva detto la moglie.
Tra le fila delle SS, sul fronte, lontano dal podere
Per poche righe del racconto, il papà minatore ritorna il Walter diciassettenne, che lavora sodo nella Germania settentrionale e amoreggia con la bella Elisabeth, mentre l’amico e coetaneo Fiete è in stretta relazione con la bionda Ortrud.
La guerra è agli sgoccioli. Persa.
Gli Inglesi sono alla frontiera olandese, il soldato Ivan è quasi a Berlino e gli americani si avvicinano, tutti sperano che entrino in Paese prima dei Russi. Gli unici a non capire sono i nazisti. Contro ogni evidenza, continuano ad alimentare sogni impossibili di vittoria e rimandano al massacro perfino feriti e mutilati. La macchina bellica si nutre di uomini, anche di ragazzini imberbi, come i ragazzini di cui parla Rothmann, in “Morire in primavera”.
Walter non vede benissimo, sparava storto già nella Gioventù Hilteriana ed è sicuro di non essere buono per il fronte… e poi qualcuno dovrà pur badare alle mucche, non c’è guerra senza latte, anche quello ha la sua importanza bellica, ma, nonostante le convinzioni di Walter, i due sono costretti ad arruolarsi: la divisa o la forca.
Fiete è come sempre ubriaco. Urla sconsiderati Drei liter! (tre litri) facendo il verso al politicamente corretto Heil Hitler. Stordito com’è dalla birra, gli sta bene andare tutti a crepare, sempre meglio che finire a scuola a imparare eroiche cagate germaniche.
Si ritrovano tra le SS, combattenti in Ungheria, contro i Russi, che non fanno prigionieri i soldati con le rune sul bavero, li uccidono sul posto.
Tre settimane di addestramento accelerato invece dei canonici tre mesi e sono di rinforzo a Budapest, condotti su mezzi che si muovono al buio, perché di giorno tutto è sotto il fuoco dei terribili cacciabombardieri con la stella rossa sulle ali. Intorno i veterani nemmeno rivolgono lo sguardo: sono emaciati, solo apparentemente più vecchi di loro, le uniformi consunte, la barba sfatta. Fissano avanti con gli occhi sgranati, non si capisce se più stanchi o disperati. Fiete è sconvolto, parla di “mollare” e raggiungere la Baviera, gli americani dovrebbero essere meno duri coi prigionieri.
Si separano in una caverna attrezzata a caserma. Walter, autiere, è addetto al trasporto logistico. L’amico è spedito in linea. Sul camion scoperto tutti guardano il cielo per avvistare i caccia. Tornerà subito, colpito a una spalla e lo rimandano al fronte. Diserta davvero, ma non la fa franca. Preso dalla polizia militare, è consegnato al reparto di Walter, per la fucilazione.
“Morire in primavera” pagine toccanti che cantano la disperazione
Prima di questo agghiacciante esito, Rothmann regala pagine eccezionali: il dolore, la disperazione dei combattenti senza speranza, la fame, l’incubo dei bombardamenti col fosforo, che riprende a bruciare anche dopo essersi immersi in acqua e non distingue tra civili e militari, uomini e donne. C’è un’orgia da fine del mondo imminente: ufficiali e ausiliarie, soldati e infermiere, ubriachi ed eccitati dal sesso, ma soprattutto folli per il terrore.
È la caduta degli Dei della Germania nazista, Gross Deutschland, la Grande Germania, in uno scenario da opera wagneriana ambientata in una società popolare e contadina.