“Il bambino in cima alla montagna” di John Boyne
John Boyne è il giovane scrittore irlandese del quale, prima del nome, ricordiamo il titolo del suo best-seller scritto nel 2006, “Il bambino con il pigiama a righe“, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Mark Herman, che ha riscosso altrettanto successo. Il romanzo racconta una storia triste quanto il periodo che la caratterizza: l’Olocausto.
All’inizio del 2016, Boyne torna in libreria con un nuovo romanzo, pubblicato da Rizzoli nella letteratura per ragazzi; il titolo “Il bambino in cima alla montagna” non può fare a meno di riecheggiare il precedente lavoro dello scrittore e, infatti, anche questo nuovo racconto è incentrato sulle vicende di un bambino durante il regime nazista.
Risulta alquanto evidente come l’autore abbia particolarmente a cuore questo periodo storico e voglia utilizzare la sua arte per sensibilizzare i lettori, compresi quelli più giovani, su un tema mai troppo rivisitato come quello dello sterminio degli ebrei alla fine del secondo conflitto mondiale.
Un lettore particolarmente critico potrebbe arrivare a pensare, però, che lo scrittore annoi col suo essere così monotematico e che lo stesso ricorso a un titolo che ricalchi il successo precedente sia un modo di cavalcare l’onda e riuscire a vendere un nuovo libro non all’altezza del primo.
Personalmente faccio parte della categoria di lettori più maliziosa, ma la curiosità verso le intenzioni dell’autore e il fatto di non aver ancora letto il romanzo precedente, mi hanno spinta a scegliere questa lettura, complice anche una spiccata sensibilità sulla tematica, della quale non mi stanco mai di leggere.
Trama
Pierrot è un bambino di sei anni, mamma francese e papà tedesco, vive a Parigi con la sua famiglia e il suo cane. Nell’appartamento sotto il suo vive il suo migliore amico Anshel, aspirante scrittore sordomuto con il quale Pierrot condivide un originale linguaggio dei segni che rafforza e rende esclusivo il loro legame. Pierrot è un bambino sereno e vivace e conduce una vita tranquilla, ma è il 1936 e suo padre è un ex soldato dell’esercito tedesco, come tanti altri profondamente segnato dalla grande guerra, ma altrettanto fiero di avervi partecipato.
Sono gli anni duri del post guerra e in un tempo piccolissimo la vita serena di un bambino spensierato si rivelerà piena di sofferenze. Pierrot ha solo sette anni quando, rimasto orfano di entrambi i genitori, abbandona la vita parigina per trasferirsi dalle parti di Salisburgo, adottato dalla zia Beatrix che, con questo grande atto d’amore, compirà un tragico errore.
La storia di Pierrot non ha nulla di rivisto, in quanto, l’ambientazione della storia è piuttosto singolare; la bella zia tedesca che decide di prendersi cura del piccolo Pierrot lavora come governante in una grande villa in cima alla montagna di un piccolo paesino austriaco. Il proprietario della villa, padrone indiscusso e temuto nella sua casa, risponde al nome di Adolph Hitler.
Quando Pierrot arriva nella casa è solo un bambino turbato che però non ha perso la vivacità e la curiosità fanciullesca mentre il cancelliere è impegnato nelle politiche patriottiche e di persecuzione che la storia ci ha insegnato.
Cosa può significare, per un’anima così giovane, venire a contatto con un mondo così grande e contorto?
Era stato Pierrot a scendere dal letto quella mattina, ma era Pieter quello che ci tornava adesso, prima di riaddormentarsi profondamente.
Critica
Il libro ci racconta un lasso temporale che giunge fino alla fine della guerra, passa per tutti i fatti storici di quel decennio e ci racconta, attraverso gli occhi di un bambino un nuovo volto della storia, narrando uno dei periodi più tragici per la specie umana dall’angolatura inconsapevole dei carnefici, con un’ingenuità quasi disarmante.
Cosa può significare crescere nella casa di colui che ha sterminato migliaia di innocenti? Crescere, correre, giocare, studiare nel posto dove sono nate le idee più malvagie di tutti i tempi; ascoltare, sentire, origliare i discorsi delle menti più perverse. Che cosa succede nel cuore e nella mente di un bambino che no conosce la differenza tra giusto e sbagliato?
“É davvero così facile corrompere un innocente?”
Il nuovo romanzo di John Boyne possiede le risposte a tutte queste domande ed è particolarmente adatto alla lettura dei più giovani, affinché possano prendere consapevolezza degli orrori dell’umanità ma anche dell’elasticità della mente, così difficile da comprendere eppure così facile da persuadere.
Tornando ai miei dubbi iniziali sul libro, sono stata piuttosto soddisfatta della mia scelta e ho capito che dietro un libro così apparentemente banale si cela la sapiente penna di un autore sensibile e deciso che, con la semplicità di un bambino, racconta la fetta di una tragica epoca, da non scordare mai.