“Brevi interviste con uomini schifosi” di D. F. Wallace
Ho paura certe vol… no, accidenti, con te voglio essere onesto perché ci tengo a te e tu te lo meriti. Tesoro, i miei trascorsi in fatto di donne dicono che è meglio perdermi che trovarmi. E ultimamente temo semore di più che tu possa soffrire, che io possa farti soffrire come a quanto pare ho fatto soffrire le altre che…
Questo è uno dei tanti estratti delle interviste che un’interrogatrice misteriosa fa a cinque uomini schifosi. Di lei non sappiamo nulla: deduciamo che è una donna, ma ignoriamo tutto il resto circa la sua identità. Non è così invece per i personaggi che si sottopongono alle sue domande: di questi conosciamo la parte più intima, essendo messi a parte dei loro monologhi interiori e delle loro inquietudini.
Perché questi uomini vengono etichettati come “schifosi”? Perché ognuno di loro ci racconta l’aspetto più meschino di sé, quelle cose che a pensarci bene sarebbe meglio tenessero ben sepolte nella propria coscienza. Aggiunge veridicità al racconto il fatto che questa sorta di confessioni siano trascritte letteralmente dalla penna della giornalista, senza alcuna mediazione del narratore. Il linguaggio è crudo, a volte ripetitivo, senza fronzoli, proprio come quando si ha voglia e fretta di dire la propria senza preoccuparsi della forma.
Brevi interviste non è un libro qualunque da aprire, leggere, e dimenticare più o meno velocemente. Quest’approccio è il più sbagliato che possa esistere; lo è con tutti i libri in realtà, ma con questo in modo particolare. Si tratta di un testo che va studiato, esattamente come si farebbe con un classico.
Bisogna innanzitutto fare una parafrasi della scrittura in sé, che talvolta assume una cripticità tale da apparire impenetrabile. Altre volte la narrazione diventa poetica, e lì si può solo goderne e rileggerla fino a farla pienamente propria. Ma il vero e proprio lavoro da fare sull’opera di Wallace va oltre il testo: bisogna metterla a fuoco nel suo complesso, allineare i racconti, porli uno accanto all’altro, identificarne somiglianze e differenze, analizzare il titolo scelto per ognuno di loro e ritrovarlo poi tra le stesse pagine. Solo così si comprende appieno il significato e la grandezza del libro che si ha davanti; solo così emerge il genio dell’autore.
È chiaro che non si tratta di una lettura facile. Alcuni tratti risultano pesanti da digerire, soprattutto a chi non è avvezzo allo stile di Wallace. Accade a volte di voler chiudere gli occhi pur di non leggere quanto ci viene raccontato; che sia la storia di una prostituta che ha rischiato di essere uccisa dal suo stupratore, o un ragazzino che ci racconta di una visione pornografica della sua infanzia, vorremmo quasi chiedere all’autore: perché mi fai questo? Perché devo sapere tutto ciò? Eppure, prevale sempre alla fine quella voglia di continuare a leggere, forse per quel piacere sottile che si prova a curiosare nei ricordi degli altri, o forse, più semplicemente, perché in quegli uomini schifosi, che alla fine non saranno solo uomini, un po’ ci si riconosce, e dunque è come leggere di noi, e scoprire che forse non siamo così marci come abbiamo sempre pensato di essere.