“Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione” di Edgar Morin
Edgar Morin nasce a Parigi nel 1921 da una famiglia ebrea sefardita originaria di Livorno. Sociologo e filosofo viene considerato uno dei massimi pensatori del Novecento. Molte delle sue pubblicazioni sono state tradotte in italiano. Nel 2008 è stato insignito della Laurea Honoris Causa in Scienze dell’Educazione dall’Universitá Suor Orsola Benincasa di Napoli e in Scienze Pedagogiche dall’Universitá degli Studi di Macerata. Dopo La testa ben fatta ( 2000) e I sette saperi necessari all’educazione del futuro ( 2001) il novantaquattrenne Edgar Morin, con Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione ( Raffaello Cortina edizioni, 2015), chiude una trilogia dedicata ai problemi dell’educazione nel terzo millennio. Il fulcro della discussione è sempre lo stesso: insegnare a vivere. A giudicare dal titolo, a tutta prima alquanto pretenzioso, ci aspetteremmo un trattato di pedagogia, invece in queste cento pagine troviamo ben altro e soprattutto troviamo ciò che non ci aspetteremmo. Mancano i decaloghi didattici, i prontuari per neo- insegnanti, mancano proposte di riforma e addirittura non c’è un’esplicita critica alla scuola di oggi. Sarebbe troppo poco, Morin sottopone ad esame una missione essenziale : l’educazione alla vita. Dunque, non stiamo leggendo un libro di pedagogia ( ripetiamo a noi stessi per essere sicuri di non aver sbagliato), non troviamo un vademecum o una ricetta valida per trarci fuori da qualche impiccio, ma, nonostante ciò, siamo tutti coinvolti in un discorso sulla società educante che è lungo come la nostra storia. Morin prende le mosse da Rousseau, ma subito devia da quella traccia iniziale per centrare una profonda e malcelata aporia filosofica, ossia quella riguardante la filosofia che non sa più insegnare a vivere. Forte di un’etimologia abusata, la filosofia troppo spesso dimentica che l’amore per la saggezza può essere fortemente ipotecato da una visione del mondo che confligga con essa. Se il ” ben vivere” diventa “avere per vivere” quale sinonimo, allora il richiamo all’essere che vive la vita è spezzato. Invece, autentica aspirazione della filosofia dovrebbe essere il ” vivere bene” come ” essere bene”, anche a scapito e detrimento del godimento e del possesso immediati. Il discorso si complica. Bandita ogni certezza resta solo il tentativo di poter insegnare a vivere. Certo anche gli insegnanti ( ma quanti?) potranno fare simile tentativo, ma solo imparando da chi da loro apprende e comprendendo per essere disposti ad offrirsi all’altrui comprensione. Morin critica, coerentemente con il suo assunto principale, ogni sapere parcellizzato, utilitaristico, spendibile, fruibile, monetizzabile,insomma, ogni sapere che faccia a pezzi l’uomo. L’assurda distinzione fra cultura scientifica ed umanistica mostra la sua insostenibilità se riferita ad un individuo non sezionabile e che vive di relazioni che creano inevitabilmente legami. A conclusione di questo piccolo/ grande libro, Morin si rivolge ai suoi ultimi lettori, quelli che ” vivono bene” l’insegnare come il loro modo di ” essere bene” ovvero come passione, perché il tentativo di insegnare nell’incertezza è un atto erotico, temerario, incurante del rischio,perché ” NON SI ELIMINA L’INCERTEZZA,SI NEGOZIA CON ESSA“, in vista di una ” metamorfosi ” che supera ogni riforma. Libro complesso, per lettori ” robusti”, che non amano le certezze e non temono le metamorfosi. Consigliato agli studenti in grado di leggerlo e a tutti gli insegnanti, in special modo a quelli che indossano la triste maschera di Thanatos.