Fregoli. La biografia: l’ultima trasformazione perfino nella tomba
È Arturo Brachetti e non poteva che essere il suo erede moderno a presentare, in una breve prefazione, la biografia dell’uomo di spettacolo che più di un secolo fa ha creato un genere di intrattenimento teatrale: il trasformismo scenico. Era il mitico “Fregoli”, titolo del volume di Alex Rusconi, proposto nel 2011 da Stampa Alternativa – Nuovi Equilibri (304 pagine, 18 euro). L’allievo assicura di avere un legame forte col maestro. Il loro debutto, ad esempio, è avvenuto a Parigi a cento anni esatti di distanza: 20 gennaio 1900, nel Teatro Trianon per Leopoldo, 20 gennaio 2000, Teatro Martigny, per Arturo.
Amo pensare – dice Brachetti– che il fantasma stesso di Fregoli mi segua e mi guidi per tutta la carriera e vita personale.
L’attore romano è nato nel 1867, in pieno centro, a un passo dalla fontana di Trevi. Artista leggendario, dall’esistenza entusiasmante, attratto dalle scene fin da bambino, ha interpretato al meglio i nuovi tempi al passaggio del secolo: velocità e progresso. Estro creativo e generosità, ma anche fragilità le qualità del protagonista che da solo sul palcoscenico, incantava gli spettatori cambiando costumi, abiti, voce, attrezzi di scena. A ritmo vertiginoso, senza uguali. La versatilità era innata, quanto l’arte di arrangiarsi: nel mondo teatrale minore al quale amava dedicarsi, il numero degli attori era ridotto e in molte compagnie toccava al comico mostrarsi negli stessi spettacoli in diversi ruoli e svariati caratteri. Una delle curiosità che si apprendono nell’ampia biografia riguarda le origini della speciale arte scenica di Fregoli. Si potrebbero far risalire ad una rappresentazione nella colonia eritrea, durante i tre anni del servizio militare. Il generale Baldissera in persona aveva notato le capacità di intrattenimento dell’artigliere romano e lo aveva autorizzato ad organizzare esibizioni per le truppe. Illusionismo e monologhi brillanti, con i primi accenni di trasformismo, ancora embrionale. Sulla scena, il soldato intrattenitore diventava in un baleno un piccolo cinese baffuto, un uomo di colore, una tenera ragazza o un omone panciuto, cambiandosi dietro semplici tramezzi. In assoluto, il debutto del genere di cui diventerà indiscusso e inimitabile maestro avvenne nel 1889, a Massaua. In scena, nel teatro Regina Margherita, “Camaleonte, scherzo tragidrammusicomico in un atto e cinque personaggi del Signor X (l’autore assisterà alla rappresentazione)”, nel quale era il solo ed irresistibile e frenetico Fregoli, a dare vita alternativamente al tenore Zeffirino, alla soprano Eva e al baritono Achille, presentandosi anche nei panni del vecchio servo e dell’autore X. Uno, nelle vesti di tutti. Il pubblico si spellava le mani. Era nato un gigante dello spettacolo. Leopoldo cominciava a pensare seriamente ad un futuro sulle scene, pur sapendo bene che gli spettatori paganti sarebbero stati più esigenti dei commilitoni, conquistati da semplici giochetti di prestigio e qualche veloce cambio d’abito. Con l’esperienza, il virtuosismo di Fregoli nei cambiamenti assunse ritmi da capogiro. Ricorreva a trucchi che consentivano di mutare costume e aspetto in pochi istanti. Secondo un’arte derivante dall’illusionismo, il trasformismo scenico si serve di escamotage noti solo all’artista ed ai suoi collaboratori. Non avendo a disposizione il pratico velcro, come i contemporanei, Leopoldo usava probabilmente delle cuciture leggere, facili da strappare, per aprire e chiudere velocemente gli abiti durante i cambi. Trucchi, dunque, come per i maghi, ma ignoti al pubblico e invisibili. Da qui lo stupore degli astanti e l’effetto sorpresa, su cui si basano queste forme di spettacolo. La fama crebbe rapidamente, facendo il giro del modo. La sua notorietà ha superato i decenni e l’espressione “Fregoli” è diventata proverbiale. È morto nel 1936, a Viareggio. Sulla tomba volle questa epigrafe: qui Leopoldo Fregoli compì la sua ultima trasformazione. Ma non fu l’ultima: dalla Toscana due anni dopo, la salma venne traslata al Verano di Roma, dov’è tuttora, ma un busto in bronzo scomparve, sostituito nella capitale dalla maschera funebre, sempre in bronzo. L’ennesimo cambio, sulla scena finale.