Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno di Massimo Recalcati
Uscito quest’anno pochi giorni prima della festa della mamma – e non a caso -, questo libro chiude il discorso sui pilastri della triade familiare: dopo aver parlato del padre (Cosa resta del padre?) e del figlio (Il complesso di Telemaco) ora Recalcati parla della madre con Le mani della madre.
L’equazione fasulla
Recalcati dichiara di aver scritto questo libro per dare una risposta a quanti gli chiedevano perché fino ad ora non avesse mai parlato della madre. La risposta arriva, ma ci pare di avvertire fin dalle prime pagine un’emozione malcelata che tende ad esplodere, perché mai prima di adesso Recalcati era stato tanto autobiografico come ora. Forse vuole dare una risposta anche a se stesso, interrogare ciò che resta un mistero anche per lui. Il tributo offerto consiste in un’opera di dissipazione del pregiudizio, secondo il quale, in maniera molto manichea, si tenderebbe a stabilire un’equazione fasulla: Madre:Bene = Donna:Male. Contro questo antico pregiudizio Recalcati mira ad argomentare che: “La madre che sopprime la donna… o la donna che nega la madre… non sono due rappresentazioni della madre, ma due declinazioni egualmente patologiche“. Le donne e le madri che Recalcati ha ascoltato, e alle quali va la dedica in esergo, sono davvero tante, ma su tutte si staglia per immane forza simbolica quella di Medea, vivida e feroce ora come nel 431 a. C. quando uscì dal genio di Euripide. La sua attualità sta nel rappresentare la frattura insanabile fra il mondo di Giasone e quello di Medea. Nonostante non si voglia parlare di uomini, essi tornano inevitabilmente quali rappresentanti di una concezione del mondo e della vita che rappresenta la Legge; ogni deroga è un delitto e scuote dalle fondamenta l’intero mondo, sovvertendolo. Giasone obbedisce alla Legge patriarcale del profitto, la stessa che sarà del mondo borghese e del capitalismo. Medea obbedisce alla Legge non scritta dell’amore. Secondo quest’ottica rovesciata è Giasone l’autore di un’ingiustizia, non è Medea che, con parole di pietra e sangue, dice: “…quando (una donna) viene offesa nel suo letto, non c’è altra mente che sia più sanguinaria“. Vera eroina tragica condannata alla solitudine che la presenza dei figli non può rendere più sopportabile. Un tempo, però, non molto lontano da noi, l’equazione di cui prima ancora valeva (e, in un certo senso, ancora vale):
La Legge di Giasone è ancora vigente
La Legge di Giasone è ancora vigente, ancora vogliamo e ci fa comodo credere che la maternità sia e debba essere sufficiente per appagare la donna in toto, compensare ogni perdita, obliterare la femminilità, ammantando l’equivoco e l’inganno con un’aura di santità. Medea non è ancora riuscita a far comprendere a Giasone che “nessuna donna può mai essere assorbita e abolita dalla madre“. Medea uccide la Madre per affermare la Donna. Altra immagine di donna che ritroviamo nel libro è quella che Recalcati riprende da un romanzo di Peter Handke, Infelicità senza desiderio, forse ancora più terribile dell’eroina greca, sua pure con esiti diametralmente opposti. La madre dello scrittore austriaco morì suicida a poco più di cinquant’anni. Questa donna, prima o dopo, non si sa, essersi imbottita di barbiturici, indossa assorbenti e mutande: rifiuto di una vita che non le appartiene più, rifiuto di una maternità che è acquiescenza di fronte alla Legge dell’uomo e alle consuetudini, vittima per assenza di desiderio, per appassimento, quando è chiaro che la Madre non può salvare la Donna. Recalcati, però, dice di non volersi fermare alla patologia, di doverla esaminare e cercare di comprendere, con l’intento di andare oltre verso un mondo che non guardi più alla madre a senso unico, insomma “non-tutta-madre”. Per farlo “Bisognerebbe provare a essere giusti con la madre e riconoscere nelle sue mani un’ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita“. Libro consigliato a tutti, illuminante.