Via Ripetta 155 di Clara Sereni
Scritto Da Francesca Ielpo il 14 Giugno 2015
È stata da poco esclusa dai finalisti del premio Strega: era tra i dodici ma non è tra i cinque. Clara Sereni, una delle più importanti scrittrici contemporanee italiane, con Via Ripetta 155 (Giunti editore, 208 pp., 14.00 €) si impone nuovamente all’attenzione della critica e del pubblico. Via Ripetta è una delle strade più centrali di Roma che la scrittrice sceglie come dimora della sua giovinezza. Questa, vissuta alla fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta. Ogni capitolo del libro (dieci in totale) è un’annata: dal 1968 al 1977. Si prende avvio con Sereni che parla apertamente della sua vita, di quella strada, di quel numero civico e del perché li ha scelti:
La causa prima fu che sono snob. La casa mia la volevo proprio lì, nella porzione di Roma compresa fra Campo de’ Fiori e piazza del Popolo, delimitata da un Tevere cui non prestavo molta attenzione ma lungo i muraglioni c’erano gli alberi come in via Nomentana dove sono nata, e il fiume era comunque un punto di riferimento.
Proseguono le descrizioni dei suoi lavori (per sopravvivere si dedica alla dattilografia), delle sue relazioni sociali (i compagni) e amorose (il regista Stefano Rulli, che diventerà suo marito) e soprattutto parole e parole sono dedicate al suo impegno politico, attitudine trasmessa dal padre partigiano Emilio Sereni. Quell’appartamento è punto di ritrovo per tutti gli intellettuali del tempo. Il ’68 è l’entusiasmo in ogni dove, la collettività invece che l’individualismo, il distaccarsi da vecchie tradizioni che si sente non servono più. Genitori, matrimoni, fidanzamenti: è tutto un vivere al di sopra. E per altro: letteratura giornalismo, cinema impegnati. Certo, le passioni non mancano, ma la militanza prima di tutto. L’utopia “intatta” non svanisce ma è difficile da pensare. La borghesia vince, in 1976 si legge: “Pur con tutti i suoi guai, le contraddizioni, gli scontri, il gruppo conservava una propria consistenza, ci stavamo aggrappati come a uno scoglio nel mare in tempesta. Per questo eravamo ancora insieme a Capodanno, nella casa nuova di Carla e Sandro con le posate ultimo grido, i bicchieri che bisognava avere il becco come le cicogne, il tavolo all’ultima moda che per una scintilla delle stelline di Natale dovemmo impegnarci tutti a far restaurare: la piccola borghesia affilava le unghie senza più vergogna di sé, e ancora ci raccontavamo di una rivoluzione possibile”. In 1977: l’appartamento in Via Ripetta va in fumo. Si cambia casa, si comincia una vita insieme a Stefano. L’utopia è ancora “intatta”. La scrittura di Sereni prosegue senza mai incepparsi. Periodi lunghi, complessi in cui si parla di Togliatti, Lorusso, Lotta Continua, Bellocchio, la morte del padre, che rappresentano con estrema precisione quello che intorno a lei prende piede. Si tratta di uno stile asciutto, giornalistico più che narrativo, dove però la pienezza delle vite si sente bene. Quello che pesa nella lettura è il timore che da vecchi stereotipi si passi a dei nuovi, quelli tipici della neo-borghesia.