Lo straniero di Albert Camus
Scritto Da Ida Tortora il 1 Giugno 2015
Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so.
Con queste parole Meursault riceve la notizia della morte di sua madre, ospite da tempo di un ospizio. Non sa con esattezza quando sia avvenuto il fatto, tuttavia si organizza e parte. Durante il viaggio non prova particolari emozioni; giunto a destinazione trova la bara già chiusa, ma questo non gli pare un buon motivo per far schiodare il coperchio. Rimane per una notte a vegliare una cassa di legno, fumando e bevendo caffè, addirittura si appisola, la sola cosa che lo infastidisca è la luce artificiale della stanza. Alcuni ospiti dell’ospizio vanno a far visita alla salma, ma lui non parla con nessuno se non con il portinaio. Dopo la sepoltura, e senza aver versato una lacrima, riparte. Il giorno dopo incontra Maria, una giovane dattilografa che lo attrae sessualmente, i sentimenti non c’entrano. Forse lei lo ama, lui no di certo, ma nulla osta che accetti di sposarla, con indifferenza. Durante una gita al mare con Maria ed altri amici, fra i quali Raymond – un losco figuro che lo ha coinvolto in un affare poco pulito – mentre il sole cocente di Algeri brucia la pelle e i pensieri, Meursault uccide un arabo. Dopo il primo colpo l’uomo è morto, ma lui gli spara altre tre volte, con indifferenza. All’incarcerazione seguono il processo, la condanna alla pena capitale, l’inutile ricorso in appello e la condanna definitiva. Morte. Fine. Il romanzo è diviso in due parti simmetriche: i fatti prima del delitto, i fatti dopo il delitto che fa da spartiacque, in un “prima” e un “poi” dominati dalla lucida e spietata narrazione di un uomo che parla di se stesso come se parlasse di un altro. Primo romanzo di Camus, pubblicato nel 1942, Lo straniero è stato considerato uno dei capisaldi dell’esistenzialismo ed una delle testimonianze più drammatiche del male di vivere del nostro tempo. La brevità (152 pagine) e la trama dicono davvero poco di una storia che rimane impressa per sempre, che colpisce come un pugno allo stomaco fin dalle parole iniziali per quella indifferenza che non sappiamo spiegarci, che si rinnova ai ripetuti “non so” del protagonista. Nessuna emozione, nessun sentimento, nessun autentico coinvolgimento, solo estraneità da sé e dal tempo che passa trascinando una vita assurda. Eventi di eccezionale portata, come la morte della madre ed un omicidio, non bastano a scalfire il muro invalicabile che separa Meursault dalla sua stessa esistenza. Allora forse la chiave di lettura del romanzo è un’altra. Le pagine scorrono veloci e, stranamente, lentissime; ogni parola scava un solco, la lama del cinismo non smette di tagliare l’impassibilità del vuoto. In fondo Meursault è una persona normale eppure non prova nessuna passione, conduce una vita normale volta al soddisfacimento dei bisogni e dei desideri più concreti e reali, ma in lui non troviamo il benché minimo accenno di adeguamento al conformismo di una società che vuole gente che pianga ai funerali della propria madre. Il romanzo dell’assurdo, come ebbe a dire l’autore, dell’uomo che vive solitario, straniero dinanzi all’assurdità della vita per la quale sarebbe inutile cercare un senso.
È l’assurdo la chiave di lettura dell’opera camusiana e Meursault ne è il protagonista.
Egli è l’uomo assurdo e dissonante che esprime l’impossibilità di trovare il nesso tra una vita destinata alla morte ed un mondo imperituro, che non può offrire orizzonti etici. Al di fuori di tale consapevolezza rimane quel conformismo che Meursault rifugge da vero eroe titanico. Lo stile di Camus, asciutto, freddo, teso, lapidario, si adegua al racconto. Non c’è traccia di indulgenza, di giustificazione; Meursault non mente a nessuno e meno che mai a se stesso, è implacabilmente presente anche dinanzi al prete che cerca di offrirgli la pietosa consolazione della preghiera e del pentimento, ma non può esserci pentimento per chi non sa perché abbia commesso un delitto. Romanzo meravigliosamente atroce che ricorda Kafka, Dostoevskij ed al quale non mancano momenti di profonda liricità, specialmente nel momento della contemplazione del cielo stellato dalla finestra della cella quando, nelle ultime pagine, Meursault accetta la vita vissuta e la sua imminente conclusione. Camus disse: “Siamo un formicaio di uomini soli“. Meursault è una di quelle formiche. Libro consigliato non solo a chi ama l’esistenzialismo o gli scritti di Sartre, ma anche a chi non teme l’affilata lama di dolore che solo la lettura può procurare. Hai già letto La peste di Camus?