Un libro su Carmelo Bene che non “beneggia” ma parla. Era ora
Molti libri, seppur non tanti, sono stati dedicati, dopo la sua morte, alla figura e all’opera di Carmelo Bene. Non tutti, direi anzi quasi nessuno, degno di quell’attenzione che meritano i saggi analitici e non quelli che scimmiottano stile e contenuti del proprio idolo. Meglio varrebbe a questo punto uno sfacciato e apprezzabile Elogio di Carmelo Bene, come scrisse l’amico e “cabotin” Giancarlo Dotto, (Tullio Pironti, 2012).
Siamo pertanto al punto che dal 2002 (anno appunto della dipartita di C.B.) a oggi i testi cui mi sentirei di rimandare per l’intelligenza del “fenomeno Bene” si contano su… di un dito. Mi riferisco a L’ultimo trovatore. Già il titolo dice molto sul gusto dell’autore, tal Simone Giorgino, pubblicato dal meritorio editore Milella di Lecce appena nel 2014.
Sebbene si tratti, come recita il sottotitolo, d’una lavoro dedicato alle Opere letterarie di Carmelo Bene e sia assai ingessato in un’ermeneutica dall’insopportabile lezzo accademico (Giorgino ama far sapere ai lettori d’esser dottore di ricerca, contento lui), il saggio è ricchissimo di riferimenti colti e il ragazzo (classe 1975) dimostra di conoscere abbastanza bene la materia; poi non osa, non ardisce intraprendere un itinerario potenzialmente fecondo – quello del rapporto tra C.B. e la letteratura italiana del Novecento, argomento principe del saggio – ma è il meglio sul Nostro sia possibile scovare sugli scaffali delle librerie.
Anzitutto Giorgino ci ha liberati, ma temo non per sempre, dal viziaccio dei critici di imitare come dei primati lo stile – inimitabile ché tutto suo, tutto sua responsabilità – di Bene; e non già per gioco, con ironia beniana, ma proprio perché si sentono «trascinati verso l’alto», come il Faust goethiano da un’improbabilissima Margarete, dal solo fatto d’aver scelto come loro “vittima” un soggetto come Carmelo Bene. Inoltre l’Autore dimostra una dimestichezza con la storia della letteratura italiana non dappoco. Della letteratura italiana, sì, ma anche dell’Opera di Bene nel dettaglio.
Ciò che non è affatto scontato, nemmanco presso i più assidui suoi “interpreti”: basti pensare alle citazioni dell’inedito Leggenda e al modo con cui egli tratta ‘l mal de’ fiori, quel poema edito da Bompiani nel 2000, che pressoché nessun critico ha osato affrontare per come meritava: uno dei punti di maggior eloquenza (per quanto afasica) di Carmelo Bene scrittore.
Costella l’opera di Giorgino un prodigioso apparato di note a piè di pagina, traboccante di riferimenti e chiose, e una robusta bibliografia trasversale e soprattutto adoperata con la cura che dovrebbe impiegare chiunque volesse indugiare su di un soggetto che, come pochissimi altri, si presta a gigioneggiare e a prender per i fondelli il lettore.